Allarme nanoparticelle: causano tumori al cervello

Lo rivela una ricerca canadese sulla pericolosità delle sostanze inquinanti che fuoriescono dagli scarichi dei veicoli.

Le nanoparticelle fuori controllo provocano tumori al cervello. L’Ue vuole limitale. I costruttori auto chiedono tempo. Un esclusivo studio canadese, pubblicato prossimamente sulla rivista Epidemiology, dimostra per la prima volta che le particelle ultrafini emesse da fonti inquinanti come il traffico stradale provocano tumori cerebrali. La scoperta lancia un nuovo allarme sulla pericolosità per la salute delle nanoparticelle, composti chimici con diametro inferiore a 100 nanometri (mille volte più sottili di un capello). Questi inquinanti infinitesimali non sono ancora pienamente regolamentati a livello europeo. Pertanto sfuggono ai controlli e fuoriescono a iosa dai tubi di scappamento. Si parla di decine di migliaia di miliardi a chilometro percorso. Ma l’industria automobilistica si oppone a una rapida riforma legislativa che ne limiti l’emissione. Le regole Ue vigenti per l’omologazione delle auto fissano limiti solo per le particelle di dimensione minima di 23 nanometri. Tuttavia nuove tecnologie di misurazione hanno recentemente svelato che ogni giorno, nelle nostre città, respiriamo invisibili sciami di particelle inferiori ai 2,5 nanometri (9 volte inferiori a quelle normate), che sono ancora più micidiali: sono così piccole che riescono a penetrare in profondità nei tessuti dell’organismo umano, compreso il cervello appunto. Le quantità esatte di particelle in circolazione sono ancora difficilmente determinabili, variando a seconda del posto e della stagione. Le agenzie ambientali nazionali non ci hanno ancora informato poiché, in base alla Direttiva europea sulla qualità dell’aria, le stazioni pubbliche di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico hanno l’obbligo di misurare solo le concentrazioni di particelle di 2,5 micrometri (2.500 volte più grandi delle nanoparticelle). “Un aumento di 10mila nanoparticelle per centimetro cubo è responsabile di circa un nuovo caso di tumore cerebrale ogni 100mila persone – afferma Scott Weichenthai, autore dello studio condotto nella città di Toronto (oltre 6 milioni di abitanti nell’area urbana) e professore associato al Dipartimento di Epidemiologia, biostatistica e salute del lavoro dell’Università McGill di Montreal –. Per stabilire tale correlazione è necessario studiare una popolazione molto ampia e disporre di un modello di esposizione alle nanoparticelle specifico per la località studiata. Pertanto i nostri risultati non sono automaticamente applicabili in qualsiasi altra città”. Concorda Massimo Stafoggia, esperto del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, che sta attualmente pianificando un’indagine nella Capitale per quantificare le vittime di malattie cardiovascolari indotte dallo stesso tipo di particelle: “Per ottenere anche nelle grandi città italiane gli stessi risultati riscontrati a Toronto occorrerebbe ripetere lo studio localmente usando una popolazione altrettanto cospicua”. Giusto per dare un generico ordine di grandezza, si può stimare che a Roma (4 milioni di abitanti) 40 persone muoiono ogni anno di tumore al cervello a causa delle nanoparticele, sempre che si possano operare i medesimi calcoli fatti a Toronto. Altri studi, pubblicati di recente, confermano che le nanoparticelle colpiscono tutte le parti del corpo, contribuendo all’insorgere di numerose patologie
, compreso il diabete. A salvarci dalle particelle killer non basterà l’uscita dal diesel, finora demonizzato in seguito allo scandalo delle emissioni truccate di biossido di azoto (N02). Nuovi test autofinanziati dall’Ue rivelano infatti che i motori a benzina e gas naturale emettono addirittura più nanopaticelle nocive che i motori diesel euro 6 (dotati di filtri antiparticolato più efficaci), nonostante rispettino le soglie in vigore per le particelle più grandi. I quantitativi rilasciati dai due tipi di carburanti sarebbero rispettivamente 100 e 10 volte superiori rispetto ai nuovi diesel. La Commissione europea sta già lavorando a un piano per imporre limiti più stringenti alle emissioni di tutte le tipologie di auto in modo da minimizzare anche il rilascio di particene ultrafini. Ma la tempistica per l’approvazione di norme che tutelino maggiormente la nostra salute resta incerta. Il processo è iniziato nell’ottobre 2018 con la conferenza sul futuro della legislazione sulle emissioni, a seguito della quale e stato istituito un gruppo di esperti a Bruxelles, riunitosi per la seconda volta venerdì scorso. Alle riunioni partecipano sia le Ong sia l’Associazione europea dei costruttori auto. Quest’ultima ha chiesto un periodo di transizione per dotare i futuri veicoli dei necessari sistemi anti-nanoparticelle, alludendo al preavviso di quattro anni tradizionalmente accordato all’industria dalla legislazione Usa. “Non e neanche ancora appurato che nuovi limiti di emissione post euro 6 siano necessari – afferma Kasper Peters, portavoce dell’Associazione –. I nuovi standard potrebbero essere adottati, ma anche non esserlo. Sarà tutto da vedere”. La tabella di marcia è fitta di procedure burocratiche che rischiano di allungare i tempi. La Commissione Ue ha commissionato due indagini scientifiche e due altri studi: uno per analizzare la legislazione internazionale e le possibili opzioni legislative a livello Ue e un secondo per valutare la fattibilità tecno-economica e l’atteso impatto dei nuovi limiti di emissione. L’avanzamento di vari lavori, che non saranno completati prima della fine del 2020, sarà seguito dal gruppo di esperti che continuerà a riunirsi ogni trimestre. Una proposta normativa concreta della Commissione non è ancora stata messa in calendario. Redazione Nurse Times Fonte: il Fatto Quotidiano  
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