Cervelli di maiale riattivati dopo la morte: l’incredibile scoperta dell’Università di Yale

L’italiana Francesca Talpo dell’Università di Pavia che ha lavorato con il gruppo americano della Yale University (in Connecticut), sotto la guida di Nedan Sestan.

Il cervello dei maiali sta diventando un laboratorio vivente e dimostra che, anche dopo la morte dell’animale, può essere “rianimato” e riprendere certe sue attività cellulari, anche se non quelle legate alla coscienza

L’esperimento, di cui si era già parlato l’anno scorso in occasione di un convegno scientifico ai National Institutes of Health (Nih), ora trova sponda degli esperti della materia che hanno avallato la sua pubblicazione su una autorevole rivista scientifica, l’inglese Nature, con tanto di copertina dedicata. Alla ricerca, i cui primi autori sono Zvonimir Vrselja e Stefano G. Daniele, ha collaborato l’italiana Francesca Talpo, che lavora fra Yale e Università di Pavia.

L’esperimento è stato condotto su 32 cervelli di maiale ottenuti da macelli con lo strumento chiamato BrainEx.

Il dispositivo si basa su un sistema che, a temperatura ambiente, pompa nelle principali arterie del cervello una soluzione chiamata BEx perfusato, un sostituto del sangue basato su un mix di sostanze protettive, stabilizzanti e agenti di contrasto.

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Immersi nel dispositivo, che in sei ore ha ripristinato l’irrorazione in tutti i vasi sanguigni, i cervelli hanno mostrato sia la riduzione della morte cellulare, sia il ripristino di alcune funzioni cellulari, compresa la formazione di connessioni tra i neuroni (sinapsi).

Normalmente il tessuto cerebrale si degrada in tempi rapidi. Non è chiaro se i tempi di perfusione più lunghi potranno ripristinare completamente l’attività cerebrale: per verificarlo saranno necessari ulteriori esperimenti.

E’ stato invece dimostrato che mantenere l’irrorazione sanguigna e la vitalità di alcune cellule può aiutare a conservare gli organi più a lungo.

Nel caso del cervello umano, per esempio, ritarderebbe il processo di degradazione che distrugge le cellule e permetterebbe ricerche oggi impossibili perché le attuali tecniche di conservazione richiedono processi, come il congelamento, che alterano la struttura cellula in modo irreparabile.

A qualcuno, che ritiene l’esperimento troppo sofisticato e per addetti ai lavori, si può rispondere che la ricerca medica di base funziona così e che questi studi possono aiutare, in futuro, a capire meglio come conservare gli organi per i trapianti, a studiare nuove terapie per riparare danni da malattie come l’ictus, l’Alzheimer o il Parkinson, a trovare nuovi metodi per combattere i tumori cerebrali e, infine, a ragionare sulla definizione di coscienza e di vivente.

L’italiana Francesca Talpo dell’Università di Pavia che ha lavorato con il gruppo americano della Yale University (in Connecticut), sotto la guida di Nedan Sestan.

“La morte cellulare nel cervello avviene attraverso una finestra temporale più lunga di quanto pensassimo in precedenza”, ha affermato Sestan.

“Il recupero delle funzioni è stato molto buono – commenta TalpoLa novità è nel fatto che per la prima volta viene sperimentata una tecnica simile su un sistema grande come il cervello di maiale e a temperatura ambiente. Mantenendo la perfusione dei cervelli di maiale per sei ore abbiamo osservato una buona conservazione dell’anatomia e dell’istologia del cervello, con la ripresa dell’attività metabolica legata al consumo di ossigeno e glucosio. E a studiare – conclude Talpo – malattie neurodegenerative e sperimentare farmaci”. 

In altre parole lo studio ha dimostrato che il cervello di un grande mammifero, come il maiale (animale molto simile all’uomo) conserva la capacità, finora ritenuta impossibile, di riacquisire la funzione di alcune cellule e la circolazione sanguigna anche a ore di distanza da un arresto circolatorio. La loro attività elettrica, invece, misurata con l’elettroencefalogramma, dava un’onda cerebrale piatta simile a quella emessa da un cervello in stato di coma, anche se le cellule nervose erano sane e attive. Ciò renderebbe tecnicamente vivo l’organo, tanto da mettere in discussione lo stesso concetto di morte.

Le implicazioni etiche

Ecco allora il tema di fondo. Ora stiamo parlando di “surrogati” del cervello umano (cioè quelli di maiale), ma si affaccia la necessità di introdurre nuove regole per eventuali esperimenti su quello umano.

In un commento su “Nature”, i bioeticisti Stuart Youngner e Insoo Hyun della Case Western Medicine della Case Western Reserve a Cleveland hanno dichiarato che se questo lavoro porta a metodi migliori per resuscitare il cervello nelle persone, potrebbe complicare le decisioni su quando rimuovere gli organi per il trapianto.

La rivista Nature ha già affrontato in passato questo tema con neuroscienziati ed eticisti.

Forse ora c’è la necessità di riproporlo.

 

Redazione NurseTimes

 

Fonte: apnews.com

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