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Ciò che le persone non vedono degli Infermieri

Gli infermieri condividono un lato della loro professione che la maggior parte delle persone non vedono”, così si intitola il bellissimo articolo della fotografa americana Carolyn Jones, corredato da foto in bianco e nero altrettanto belle, che ha come obiettivo quello di squarciare un velo fatto di stereotipi e immagini ovattate, con le quali vengono spesso dipinti i colleghi d’oltreoceano e non solo.

Proprio in questi giorni riflettevo, sul modo in cui i pazienti ed i parenti ci vedono. Non amo piangermi addosso, né dichiararmi afflitta dalla “Sindrome Figli di un Dio minore”, non posso tuttavia disconoscere il fatto che se le persone hanno di noi un immagine così stereotipata o al più riconducibile a mera figura di contorno della classe medica, è anche colpa della nostra stessa categoria che non ha saputo far passare il messaggio di chi sia oggi l’Infermiere e di cosa faccia. E’ strano a dirsi, essermi imbattuta in questo articolo mi ha riportato quella serenità che deriva dalla consapevolezza che i cambiamenti sono duri da recepire, ma che non abbiamo alternative, se vogliamo che le persone ci vedano per quello che siamo, PROFESSIONISTI DELLA SALUTE, a pieno titolo.

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La stessa fotografa del resto, prima che la malattia entrasse nella sua vita aveva un immagine assai distorta di cosa fossero gli Infermieri, nonostante negli Stati Uniti la nostra sia considerata una professione difficile e ambita, basti pensare che per il quindicesimo anno di fila è stata dichiarata la professione eticamente più apprezzata dagli americani, eppure anche in quel paese persistono stereotipi duri a morire. Le storie raccontate in questo articolo e in un toccante documentario dicono di come si sia evoluta la nostra professione. Unica nota comune negli Stati Uniti come da noi in Italia, il prendersi cura degli ammalati, come del resto ci ricordano gli slogan che stanno passando nelle radio in questi giorni, voluti dalla Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI.

Ma ritornando al focus dell’articolo ecco quali sono le parole dell’autrice Carolyn Jones: “ci vedono (gli infermieri) in modo olistico e intimo come a poche altre persone sarà mai concesso“, ha confessato al  Business Insider.

La Jones ha iniziato a comprendere davvero il ruolo degli Infermieri, dicevamo, dopo la diagnosi di cancro al seno, nel 2005. “Ho sempre pensato che gli infermieri fossero coloro che rilevano i parametri vitali, temperatura e pressione sanguigna, o ci tengono la mano e ci confortano, mentre aspettiamo il medico. Ma ero davvero in torto”, ha aggiunto.

Così, quando le è stata data l’opportunità da parte di una società di assistenza sanitaria, di  creare un progetto per festeggiare gli infermieri, la Jones non si è lasciata sfuggire l’occasione. Le sue fotografie e le interviste sono stati raccolte in un libro ed un documentario dal titolo “The american nurse project”

. Le foto che la Jones ha realizzato mostrano un nuovo lato della professione infermieristica che la maggior parte delle persone non vedono. Gli stessi Infermieri hanno voluto condividere le loro esperienze per far capire quanto sia complessa e unica la nostra professione.

Per tutte due storie, quelle della collega Tonia Faust, che lavora in un penitenziario di massima sicurezza nello Stato della Louisiana, dove è stato realizzato il primo Hospice dello Stato che si occupa di detenuti

Nel nostro penitenziario abbiamo il braccio della morte e circa 5.200 detenuti. Nel giugno del 2011 hanno nominato me come coordinatrice del programma Hospice. Si tratta di un programma eccezionale, siamo l’unico hospice accreditato in  Louisiana, e ciò che rende il nostro programma così unico è il fatto che i detenuti facciano da volontari un percorso educativo di 40 ore, in cui si parla di fisiologia e di come gestire le attività di vita quotidiana e di come attraversare il dolore per giungere serenamente alla morte, stando semplicemente al capezzale dei pazienti ricoverati, detenuti come loro.“.

Venus Anderson, lavora invece al Nebraska Medical Center di Omaha, Nebraska. “Quattro anni fa, mio ​​padre ebbe un incidente di moto e rimase ferito gravemente…e un altro team di infermieri di elisoccorso andò a prenderlo. Non è sopravvissuto, è morto al centro traumi. E ciò mi ha scosso profondamente, mio padre era l’uomo più straordinario che io avessi conosciuto. Quando è morto, è cambiato tutto. Questa esperienza mi ha insegnato a considerare il mio lavoro in maniera personale”.

Abitualmente non ero solita chiedere il nome del paziente per non rendere l’assistenza troppo personale. Ma dopo che mio padre è morto, ho deciso che mi sarei presa cura anche se brevemente dei parenti dei pazienti assistiti. Giusto due minuti per dire: ‘il mio nome è Venus, sto per accompagnare in volo tuo marito, fratello, madre, moglie, a Omaha. Questo è quello che ho intenzione di fare, questo è quello che sta accadendo, non appena arriviamo ti chiamo e ti faccio sapere come è andata’ ”.

Questa è una cosa che non avevo mai fatto prima di raggiungere il centro traumi, chiamare la famiglia ogni volta, e se adesso è diventato un appuntamento irrinunciabile è perché l’unica cosa che mi ha ferito di più della morte di mio padre è stato il non sapere cosa stesse accadendo.”.

Queste sono solo due storie come tante, sovrapponibili alle storie di molti Infermieri italiani da cui emerge non solo il profilo di competenza professionale specifico, ma un vissuto che assai spesso le persone tendono a non vedere e che fa la differenza sempre, quando ci si prende cura delle persone.

Rosaria Palermo

americannurseproject.com

uk.businessinsider.com

Rosaria Palermo

Infermiera dal 1994. Attualmente, infermiera specialista del rischio infettivo presso l'ARNAS Garibaldi di Catania. Ho una laurea magistrale e due Master, uno in Coordinamento e l'altro in Management del rischio infettivo. Faccio parte del Direttivo di ANIPIO (Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo) dal 2016. Penso che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l'arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

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Rosaria Palermo

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