L’atto del donare se stessi per concedere un “opportunità” a terzi in fin di vita però non sempre è compreso e condiviso.
Lo sviluppo della tecnologia, l’evoluzione delle apparecchiature elettromedicali, le nuove sfide della scienza, l’approccio multidisciplinare e la tendenza alla costituzione di una rete multiprofessionale che integra tecnologia e clinica hanno di fatto spostato i confini terapeutici sempre più in avanti.
Prende sempre più forma per gli attori coinvolti, l’acquisizione di competenze cosiddette trasversali perché costituiscono occasione di scambio culturale, crescita e sviluppo. Ci si trova così, sempre più frequentemente a spostare il proprio ruolo nell’ottica del risultato.
La necessità nasce dall’evidenza di problemi di salute seri, gravi o gravissimi che generano lo stimolo alla ricerca della soluzione adeguata, della cura adeguata, del risultato migliore con il minimo sforzo. La stessa induce allo sforzo di superamento di convinzioni e processi presumibilmente già consolidati e strutturati.
Trattamenti sostitutivi di funzione di organo e cure innovative, all’avanguardia, ormai alimentano la speranza di ciascuno di una vita migliore in termini di qualità e di estensione temporale.
L’atto del donare se stessi per concedere un “opportunità” a terzi in fin di vita però non sempre è compreso e condiviso.
Di mezzo si attivano dinamiche emotive che alterano di fatto la sfera psichica, fisica, sociale e relazionale di ciascun individuo coinvolto da una parte o dall’altra nel processo complesso di donazione di organi e trapianto.
I sentimenti più sentiti sono il “dolore” e “l’angoscia”.
Sono profondamente legati all’attesa alla prospettiva di perdita ed alla sofferenza fisica ed emotiva. Questo di fatto può essere ciò che lega un soggetto definito “donatore” ed un altro definito “ricevente” nel sistema ben strutturato di donazione d’organi e trapianti, come ultima risorsa terapeutica.
Escludendo le donazioni da soggetto vivente con convinzioni fortemente radicate per vissuti personali o professionali nell’atto del donare, la restante parte dei donatori sono definiti già deceduti.
La capacità di donare per questi ultimi è legata all’atto di dichiarazione di volontà del soggetto in piena facoltà di intendere e di volere ovvero all’assenso della famiglia che, comprese le motivazioni del decesso, sceglie la continuità della vita del proprio congiunto in un atto d’amore verso una persona sconosciuta che altrimenti andrebbe incontro a decesso in un intervallo temporale variabile.
Non di rado, la difficoltà maggiore, risiede nell’incapacità dei congiunti di uscire fuori dal concetto di morte, associato all’arresto della funzione cardiaca, nonostante la rianimazione, ormai consolidato nella popolazione. Difficilmente si comprende e si accetta la possibilità della perdita delle funzioni dell’encefalo come concetto di morte. Questo perché il concetto di morte encefalica che è irreversibile è raramente considerato e, la perdita delle funzioni dell’encefalo, irreversibile, solitamente segue l’arresto cardiaco prolungato, se non determinato da altre patologie.
Da qui la scelta, consapevole, di operatori, enti, associazioni, gente comune di diffondere e sensibilizzare la cultura della donazione e del trapianto nell’ottica della continuità della vita in tutti i sensi.
Differente sul territorio, purtroppo, è l’interesse e la capacità di perseguire gli obiettivi di ricerca di organi definita tecnicamente procurement, mantenuti poi nelle migliori condizioni possibili a scopo di trapianto.
Di fatto l’esigua percentuale di donazioni in alcune regioni non contribuisce allo sviluppo di questa possibilità.
Nei luoghi in cui l’attività è florida invece la discussione tra operatori e gente comune contribuisce ad incrementare l’interesse, il risultato e la ricerca e soprattutto la convinzione che donare sia la scelta migliore.
Vincenzo MALDERA
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