SAN PIETRO IN LAMA (Lecce) – Due condanne per la morte di Massimo Signore deceduto 12 aprile di due anni fa. Il giudice del Tribunale di Lecce, Fabrizio Malagnino, ha inflitto 1 anno e 4 mesi (pena sospesa) S.S. (infermiere) e G.D.S. (soccorritore).
Massimo Signore, mentre si trovava davanti alla sua abitazione in San Pietro in Lama; veniva interessato da un’emorragia imponente a causa della rottura di fistola artero-venosa dell’avambraccio sinistro, di cui era portatore, poichè soggetto dializzato.
Prontamente soccorso, dapprima da alcuni vicini di casa (che gli applicavano un laccio ed una compressione con bendaggio), successivamente veniva preso in cura dai sanitari del 118; chiamati dai presenti, che, giunti sul luogo dell’evento, dopo i primi trattamenti, lo trasferivano presso il Pronto Soccorso del “Vito Fazzi di Lecce”; dove moriva con diagnosi di shock ipovolemico emorragico per rottura spontanea di fistola artero-venosa avambraccio sinistro.
A seguito di denuncia sporta, immediatamente, da Signore Antonio (fratello della vittima), il pubblico ministero Carmen Ruggiero disponeva il sequestro della cartella clinica e l’autopsia.
Dagli atti sequestrati, dall’esame della cartella clinica e, soprattutto, dalle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, è stato accertato che il personale sanitario intervenuto sul posto ha, dapprima, con una forbice; tagliato il laccio applicato sul braccio sinistro della vittima, a monte della ferita e, successivamente, asportato l’asciugamano imbevuto di sangue; così provocando, nuovamente, una nuova abbondante emorragia dalla fistola del braccio sinistro della vittima.
A questo punto, il personale ha avvolto il braccio sinistro della vittima con una traversa; senza riuscire ad arrestare l’emorragia ed accompagnato, senza l’ausilio della barella, Massimo Signore sull’ambulanza.
Sulla scorta di tali evidenze, il dottore Ermenegildo Colosimo ha concluso, sostenendo che “le condotte diagnostico terapeutiche nonché assistenziali, praticate dagli operatori sanitari che prestarono le prime cure al Signore; non sono state adeguate nel loro espletamento in quanto sono venuti a mancare i trattamenti essenziali che le pratiche di soccorso prevedono in caso di accertata rottura di fistola artero venosa”.
Aggiungendo, altresì, che “le condotte del personale del 118 censurabili in quanto un comportamento sanitario idoneo, adeguato e tempestivo avrebbe potuto evitare l’evento infausto verificatosi successivamente in P.S.; in quanto la sola adeguata terapia compressiva, a bloccare l’emorragia, avrebbe potuto garantire un arrivo in P.S. con parametri vitali idonei ad una ripresa funzionale viste le pratiche terapeutiche, tempestivamente adottate dai medici di PS (…), ma non più responsive a causa dell’aggravamento dello shoch”.
La gravità, dunque, del comportamento del personale sanitario del 118 ha, senza alcun dubbio, determinato la tragica e prematura morte di Massimo Signore; come emerso nel corso del dibattimento ed accertato dall’odierna decisione di condanna del Tribunale di Lecce, dopo aver sentito i consulenti delle parti civili (dott. Vincenzo Garzya) e degli imputati (dottori F. Faggiano e S.S. Colonna).
Il Tribunale ha condannato, altresì, gli imputati (difesi dall’avv. Antonio Cerfeda), in solido con la ASL LE (difesa dall’avv. Paolo Vinci), al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, difese dall’avv. Gaetano Stea e dall’avv. Graziana De Carlo, liquidando anche una provvisionale di 25mila euro per ciascuna parte.
Redazione InfoNurse
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