Infermieri

Empatia o tecnologia?

L’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione del prossimo, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale.

Il seguente articolo si pone l’obiettivo di descrivere l’evoluzione della professione infermieristica, evidenziando i passi che hanno portato alla piena responsabilità dell’assistenza infermieristica e mettendo in risalto l’evoluzione della professione in ambito tecnologico, evidenziando i vantaggi e gli svantaggi di quest’ultima

L’evoluzione che ha interessato la professione infermieristica in questi anni ha portato profondi cambiamenti sia nel mondo della formazione sia nell’esercizio del ruolo professionale, contribuendo a consolidare la profonda identità professionale dell’infermiere, che oggi risulta essere il responsabile dell’assistenza infermieristica.

Introduzione

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La prima a battersi affinché la figura dell’infermiere ottenesse autonomia fu Florence Nightingale, che ha segnato l’origine della riforma formativa, con la nascita del nursing moderno, il quale ha contribuito all’emancipazione della professione, l’individualizzazione di una base cognitiva e l’innalzamento della posizione sociale dell’infermiere.

L’assistenza consiste nel soddisfare le necessità del vivere e si concretizza in azioni quali mangiare, dormire, lavarsi ecc., che nelle diverse fasi di sviluppo nella vita di un uomo per essere portate a compimento hanno bisogno di un aiuto esterno. Da sempre l’assistenza è stata delegata alla figura della donna in quanto come scrive Edoardo Manzoni: “l’assistenza infermieristica è caratterizzata da azioni di maternage, di presenza continua, di tocco dolce, di vicinanza culturale, di copiosità”.

Con il R.D. 1832 del 1925 nascono le prime scuole per infermiere con obbligo di internato “scuola- convitto”.  Grazie ad esse si ha il primo riconoscimento ufficiale della professione infermieristica da parte dello Stato. La durata del corso era di due anni e prevedeva insegnamenti teorico- pratici, dove gli insegnanti erano dei medici e prevedeva un esame finale. Nel 1929 con il R.D. n. 2330, si applicano dei nuovi requisiti di ammissione. Per accedere alle Scuole era richiesta la licenza di scuola media inferiore, sostitutiva delle precedente licenza elementare.

Con R.D.L. del 1934 n. 1265 nasce il Testo Unico delle leggi sanitarie, composto da 394 articoli, in cui si sancisce l’obbligatorietà del possesso del diploma per fare l’infermiere.

Nel 1940 con l’R.D. 1310 nasce un elenco rigido ed esaustivo delle mansioni dell’infermiera professionale e dell’infermiera generica, è suddiviso in 4 parti:

  1. Competenze organizzative ed amministrative (registrazione e conservazione dei medicinali, controllo della pulizia, tenuta delle schede cliniche e dei registri di reparti, ecc.)
  2. Attribuzioni assistenziali dirette e indirette (sorveglianza e somministrazione delle diete, somministrazione dei medicinali ordinati dal medico, annotazione sulle schede cliniche degli abituali rilievi di competenza dell’infermiera, come temperatura, respiro, polso, ecc.)
  3. Manovre o interventi (sorveglianza di fleboclisi, iniezioni ipodermiche, intramuscolari, medicazioni comuni e bendaggi, lavande vaginali, ecc.)
  4. Mansioni dell’infermiere generico. Attività che deve essere limitata alle mansioni, per prescrizione del medico e, nell’ambito ospedaliero, sotto la responsabilità dell’infermiera professionale, come somministrazione dei medicinali ordinati, raccolta di urine, feci, applicazione di lacci emostatici d’urgenza, ecc…

Fino ad ora tutte queste competenze e responsabilità di cui abbiamo parlato si rifanno al solo genere femminile. Gli uomini iniziarono a praticare l’assistenza già dal 1909 ma solo come infermieri manicomiali o come infermieri generici. Nel 1971 con la legge n. 124 le scuole convitto furono trasformate in scuole professionali aperte anche ad essi e iniziarono a svolgere la figura professionale vera e propria. Con questa legge infatti si passa da “Scuole Convitto” a “Scuole per Infermieri Professionali”, in cui è richiesto un biennio di scuola media superiore con età minima di 17 anni.

Con la legge n.795 del 1973 in accordo con le indicazioni europee stabilite nel Rapporto di Strasburgo, la scuola prevedeva un corso triennale, 10 anni di scuola pregressa e 4600 ore di formazione pratica.

Un passo in avanti viene compiuto con il D.M. n. 225/1974 (definita legge mansionario), che modifica ed integra il R.D. 1310 del 1940. Pur contenendo alcune contraddizioni all’ interno è una tappa importante del processo evolutivo dell’assistenza infermieristica.

Esso amplia le competenze infermieristiche e riconosce l’importanza dell’organizzazione dei piani di lavoro. Si parla di infermiere professionale in generale.

Nel decennio tra il 1980 e il 1990 si hanno enormi cambiamenti della domanda sociale e di salute in termini qualitativi e quantitativi, si ha una maturazione della professione infermieristica, un aumento della delega da parte del medico verso l’infermiere e nel 1990 con la legge n. 341 si ha la prima riforma universitaria. Nasce così il Diploma Universitario triennale di I° livello in Scienze Infermieristiche.

Con la legge 739 del 1994 è individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica che può esercitare a due livelli: autonomo e collaborante.

Si ha quindi un riconoscimento giuridico dell’infermiere come responsabile dell’assistenza generale infermieristica, definisce ambiti operativi, metodologia di lavoro, approfondimento culturale, interrelazione con altre figure e da inizio al processo di autonomia decisionale.

In fine con la legge del 26 febbraio 1999 n. 42, si ha la seconda riforma universitaria che prevede il 3+2, ovvero diploma di laurea e laurea specialistica. Aumentano l’autonomia professionale e la responsabilità dell’infermiere con dei

Criteri guida:

  • Profilo professionale
  • Formazione di base
  • Codice deontologico

Limiti:

  • Competenze dei medici (diagnosi e terapie)
  • Competenze delle altre professioni sanitarie.

Dal 1999 ad oggi sono cambiate molte cose, la figura dell’infermiere come abbiamo visto in questo excursus si è evoluta e continua ad evolversi sempre più.

Il mondo della sanità per l’appunto è in continua evoluzione. Ad oggi possiamo dire che la rapida diffusione dei dispositivi digitali per l’informazione e la comunicazione nella nostra società si concretizza anche nella pratica infermieristica.

I progressi, la ricerca, la tecnologia sono di fondamentale importanza per lo sviluppo di piani di cura strutturati al meglio per il singolo paziente e per la comunità.

Tuttavia, per stare al passo con questa continua evoluzione, viene richiesto un livello di competenza piuttosto alto sia a livello tecnico/professionale sia a livello relazionale/comunicativo; per questo motivo l’infermiere ha acquisito nel tempo, grazie ai percorsi di studio universitari e ad una preparazione approfondita sul campo, una elevata padronanza in questo ambito.

Ma come possono essere sfruttate queste tecnologie per migliorare l’assistenza infermieristica? Che vantaggi possono trarne gli infermieri?

I vantaggi dell’uso di queste tecnologie nel settore sanitario sono notevoli: la qualità dell’assistenza è migliorata e hanno contribuito moltissimo alle prestazioni sanitarie centrate sui pazienti. Contemporaneamente, i diversi studi che trattano l’influenza dell’evoluzione tecnologica nell’assistenza sanitaria mostra come la diffusione di questi strumenti ridefinisca le pratiche del lavoro di cura, generando non solo opportunità, ma anche elementi critici.

Il paziente risulta essere così agli occhi dell’infermiere una miniera di dati: frequenza cardiaca, saturazione d’ossigeno, temperatura corporea e glicemia sono solo alcune della miriade di informazioni acquisite dai dispositivi indossabili. Dispositivi che, una volta connessi alla rete, entreranno a far parte di un network digitale, all’interno del quale i dispositivi possono costantemente scambiarsi informazioni mediche sull’attuale stato di salute del paziente, in remoto e senza l’impiego di professionisti durante la rilevazione di tali parametri. Hanno altre funzioni come quella di comunicare tra colleghi e con l’utenza, raccogliere immagini, oppure facilitare la cura e la ricerca specifica tramite l’utilizzo di definite applicazioni. Più in generale sono funzionali all’organizzazione dell’assistenza, al monitoraggio e alle analisi delle situazioni e per la registrazione strutturata delle prestazioni sanitarie.

In questo modo avremo la possibilità di ricevere, in qualsiasi posto si trovi il paziente, una mole di dati preziosi ed in costante crescita, ma tutto ciò non implica che non ci siano più preoccupazioni. Infatti, man mano che i dati crescono, gli infermieri e l’equipe si troveranno costretti a monitorare una quantità di valori sempre più ampia e diversificata per ogni singolo paziente, tale da poter mettere in difficoltà il professionista stesso.

Ed è proprio all’interno dell’analisi critica dei dati che si inseriscono gli algoritmi di Intelligenza Artificiale, segnali di allerta consegnati direttamente sullo smartphone dell’infermiere e del medico provenienti proprio da quei dispositivi connessi ed indossati da un paziente se mai dimesso ed in attesa di follow-up (controlli periodici programmati a seguito di un intervento).

Lo scopo dell’integrazione della tecnologia in sanità è dunque quello di ottimizzare l’assistenza, migliorare la qualità delle cure e la soddisfazione della persona senza aumentare il carico di lavoro dell’operatore sanitario.

In Giappone il numero degli infermieri è ridotto, perciò l’operatore sanitario risulta essere sovraccarico di lavoro. Da qui nasce l’idea di mettere il benessere dei pazienti infermi e anziani nelle mani di un robot, in grado di prendersi cura di loro, in assenza di familiari. Già 16 anni fa il gruppo elettronico Panasonic ha aperto una casa di cura high-tech nei pressi di Osaka, dove i residenti venivano riforniti e controllati esclusivamente dalla tecnologia.

In  pratica il robot ad esempio può essere considerato un erogatore di pillole, ma non solo. È dotato di un dispenser in grado di immagazzinare differenti pillole per molteplici utenti, tenendo inoltre traccia dei dosaggi giornalieri. È anche in grado di avvisare gli utenti quando le pillole nel dispenser stanno per esaurirsi, ma anche di acquistarle autonomamente online. Inoltre, invia un alert agli utenti (e ai loro familiari) qualora per qualunque motivo abbiano saltato i propri medicinali giornalieri.

Attraverso il robot è inoltre possibile avere una conversazione in tempo reale con i medici avvalendosi semplicemente della camera HD e dei microfoni incorporati. Ha un software installato che gli permette di riconoscere i volti delle persone e di riconoscerne anche la voce. Grazie a questa sua intelligenza artificiale riesce a dare le giuste medicine ad ogni

paziente che ne ha bisogno. È in grado anche di rispondere a delle domande che gli vengono fatte dopo un accurata ricerca online.

Allora la domanda che bisogna porsi è: “Possono dei robot sostituire la figura dell’infermiere?”

Anche il giapponese più orientato alla tecnologia non riesce a fare amicizia con queste tecnologie, in quanto non trasmettono emozioni.

I tedeschi poi sono molto più scettici sull’idea di essere lavati, nutriti e trasportati da dei robot nella loro vecchiaia. Lo afferma anche Christian Buhtz, fondatore del produttore di robotica Boston Dynamics Marc Raibert. “Semplicemente non ci sono robot di cura. Esistono solo sistemi robotizzati in grado di supportare singole funzioni e quindi di alleggerire il carico di lavoro del personale infermieristico”.

È ovvio che un qualunque datore di lavoro (che sia un privato o lo Stato) a parità di efficacia ed efficienza, produttività e raggiungimento dei risultati richiesti tra un infermiere in carne e ossa e un ipotetico e perfetto robot-infermiere sceglierà quello che gli costerà meno e che gli darà meno problemi. Malattie, gravidanze, sindacati, ferie, non fanno protendere verso scelte umane.

È evidente però che l’occhio clinico, la creatività, l’empatia, la previdenza e la manualità non sono ad oggi sostituibili da un robot-infermiere, per quanto sofisticato sia.

I robot oggigiorno, nelle migliori delle ipotesi, non possono fare altro che supportare l’attività infermieristica, dato che l’infermiere deve gestire migliaia di input diversi e risolvere molteplici problemi contemporaneamente, farlo velocemente e bene.

È indispensabile per il paziente ricevere una risposta emotiva, ma è difficile che potrà ottenere ciò da un robot. Un robot ad esempio non potrà mai gestire l’ansia che precede un intervento chirurgico. Sebbene lo stesso automa sia in grado di riconoscere la mimica umana e rispondere con un messaggio appropriato, non sarà mai capace di rispondere ad un bisogno essenziale come il rapporto umano per il fatto stesso che il robot-infermiere non è umano e quello che chiede il paziente spesso non è solo un’informazione, ma empatia.

L’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione del prossimo, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale.

È la parola d’ordine dell’infermiere, gli permette di vedere la situazione con gli occhi del paziente, di entrare nei suoi pensieri, nei suoi significati, anche se sono diversi dai nostri, entrando in contatto con ciò che prova (paura, angoscia, preoccupazione, soddisfazione). Una persona disposta ad ascoltare, a capire i loro stati d’animo e, se necessario, a lanciare uno sguardo comprensivo, a dire una parola di conforto, ad allungare la mano per un contatto emotivo.

Il robot non ha sentimenti e quindi non può manifestare amore, gioia, può solo simulare tali sentimenti con un comportamento corrispondente, ma non è in grado di possedere appunto l’empatia. Un sorriso caldo e la parola giusta al momento giusto la possono dare solo esseri con intelligenza emotiva. Quindi la nostra conclusione è che l’infermiere in quanto responsabile dell’assistenza potrà essere aiutato, ma mai essere deposto dal suo ruolo.

Potrebbero aiutarci magari a svolgere il nostro ruolo in determinate situazioni come ad esempio:

  • sollevare i pazienti negli spostamenti
  • distribuire e consegnare il vitto e acqua ai pazienti
  • mantenere l’igiene dei locali
  • sorvegliare i pazienti
  • avvertire l’infermiere in caso di emergenza, chiedere aiuto ai colleghi
  • ricordare note: “fra 10 minuti, cambiare la posizione al paziente x”
  • assistere il paziente con stimolazioni cognitive

Da questo si evince che l’introduzione dei robot porta sicuramente a dei vantaggi.
Ma  volendo concludere con una citazione che racchiude a pieno il contenuto di questo lavoro, “Ci vorrà molto tempo prima che un robot possa sostituire un essere umano nella cura. Questo processo, inoltre, non sarà mai completo in quanto una macchina, per quanto possa essere costruita con algoritmi sofisticatissimi, non avrà mai empatia. Potrà simulare un essere umano, ma l’essere umano non potrà non reagire diversamente a una cosa che non ha empatia.” (Gianmarco Verruggio, membro del Consiglio nazionale delle ricerche di Genova).

 

Cosimo Della Pietà, Professore a contratto CdL Infermieristica Università di Bari

Bottino Irene, studentessa CdL Infermieristica Università di Bari

Prete Lucia, studentessa CdL Infermieristica Università di Bari

Redazione Nurse Times

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