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Essere infermieri del servizio emergenza urgenza 118: empatia e ascolto contro i suicidi

Ultimamente mi capita spesso di pensare ai numerosi casi di suicidio. Sono un’infermiera di 25 anni, laureata da circa due anni, tornata da poco in Italia dopo un’esperienza lavorativa in Germania e da circa cinque mesi in servizio presso il 118; sicuramente vi starete chiedendo cosa ha a che fare con il mio ambito lavorativo un tema a sfondo altamente psicologico e sociologico.

Ultimamente mi capita spesso di pensare ai numerosi casi di suicidio. Sono un’infermiera di 25 anni, laureata da circa due anni, tornata da poco in Italia dopo un’esperienza lavorativa in Germania e da circa cinque mesi in servizio presso il 118; sicuramente vi starete chiedendo cosa ha a che fare con il mio ambito lavorativo un tema a sfondo altamente psicologico e sociologico.

Sono numerosi e frequenti gli interventi di natura psichiatrica a cui non riusciamo, in maniera pratica ed effettiva a trovare una soluzione e spiegazione. Così una volta chiuso e terminato l’intervento, torniamo a casa insoddisfatti e con un caso in più “sul cuore”, che continuerà a tormentarci. Da alcuni dati epidemiologici si evince che ogni anno il numero dei suicidi supera in molti paesi quello degli incidenti stradali. In aggiunta al numero delle morti, un numero almeno dieci volte superiore di persone tenta il suicidio, le quali necessitano di cure mediche molto impegnative e non infrequentemente subiscono disabilità irreversibili.

Mi chiedo come può un uomo compiere un atto simile?

E cosa noi, in quanto non solo operatori sanitari ma soprattutto “persone”, potremmo fare per evitare ciò?

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Eugenio Borgna, nelle “parole che ci salvano”, sottolinea la fondamentale importanza della comunicazione, verbale e non. Le parole dei pazienti, le emozioni dietro di esse nascoste, ci permettono di entrare in contatto con la parte più profonda del loro essere e ci danno modo di creare quella relazione intima e di fiducia, tanto ricercata che ci permetterà di assistere realmente il paziente e prendercene cura.

Questo primo spunto ci permette di capire che la base per creare una relazione efficace è la giusta comunicazione, che ci permetterà, forse, di prevenire e a volte evitare gesti estremi dettati spesso da emozioni non ascoltate, ma spesso riferite dai nostri pazienti.

Anche Camilleri in un’intervista sottolinea l’enorme rilevanza che ha la parola. Egli ha esordito dicendo “stiamo perdendo la misura, il peso, il valore della parola, le parole sono pietre, possono trasformarsi in pallottole…”.

Camilleri pone in risalto l’importanza della parola, della buona comunicazione, del misurare adeguatamente le parole che adoperiamo, “del far cessare il vento dell’odio”, l’odio verso l’altro, l’altro che non è altro che “me stesso specchiato”.

É questo quello che mi ha fatto più riflettere, l’altro non è altro che me “specchiato“, scusate il giro di parole ma la ripetizione della parola mi permette di sottolinearne meglio il concetto. Se tutti partissimo da questo presupposto penso che forse molti suicidi prevedibili sarebbero stati evitati. Se capissimo meglio il significato dei termini empatia e ascolto, credo che la maggior parte dei nostri problemi a casa e a lavoro sarebbero risolti.

Entrare in sintonia con il paziente, ascoltando e comprendendo non solo le sue parole ma anche le sue emozioni, ci permetterà di andare più a fondo, oltre lapunta “dell’iceberg” che lo rappresenta oltre ciò che è evidente agli occhi di tutti. Utilizzo non a caso il verbo ascoltare e non sentire, perché “ascoltare” sottolinea la nostra partecipazione “attiva” durante la relazione e ci permette di “cogliere” realmente l’altro e ciò che vuole comunicarci, comprendendo molti messaggi e informazioni nascoste.

Durkheim dice: “l’individuo lasciato a sé stesso tenderebbe all’annullamento ed alla disgregazione“.

Non c’è niente di più vero. Il suicidio si verifica sempre per mancanza di integrazione sociale dell’individuo. “È la società che in ogni suicidio rappresenta l’assenza, la lontananza, la disumanità, l’incapacità di comunicare e partecipare”.

Non è l’individuo che è “assente” è la società che è “assente”.

L’uomo è un essere sociale, è i suoi rapporti sociali dentro l’intera sua specie. Quando perde i suoi rapporti sociali, si svuota, fino all’annullamento totale. Quindi prima di uccidersi il suicida si considera già un morto “civile”, un “diverso dagli uomini”, un uomo senza rapporti e quindi non un essere sociale, un non-uomo. E sono queste constatazioni che gli permetterebbero, secondo Durkheim, di ottenere la “licenza ad uccidersi”.

Un esempio di patologia, che spinge il malato a trovare una risoluzione definitiva al proprio malessere con il suicidio, è la depressione. La depressione è definita come un disturbo dell’umore che si verifica attraverso delle fasi, con alternanza tra periodi di umore normale e altri a carattere depressivo, ci sono diverse tipologie di depressione e le manifestazioni e le cause possono essere diverse.

Quella che chiamano depressione reattiva è una forma di disturbo mentale strettamente legata ad un avvenimento doloroso (ad esempio un lutto, una perdita, una sconfitta, disturbi fisici), caratterizzata da un’intensità e da una durata sproporzionate rispetto alla “normale” reazione di fronte a simili eventi, “Una particolare situazione di vita che riesce a renderci fragili, dilatando in noi il male di vivere”.

“Nella depressione – spiega Borgna – si vive nel passato e si perde la percezione del futuro, risulta infatti inutile parlare a una persona depressa di attese, speranze nelle quali non può credere e di cui il paziente ha nostalgia“.

Trovare le parole da dire a questi pazienti non è facile, dunque, bisogna trovare una concordanza tra il modo di percepire il tempo come lo sta vivendo e percependo il paziente e quello reale.

Per far ciò è necessario immedesimarsi, immaginare quali parole vorremmo sentire dagli altri se fossimo noi a stare male e ad avere bisogno delle giuste parole, tutto questo costa tempo ed educazione alla partecipazione ai pensieri e alle emozioni degli altri. É necessario sintonizzarsi con il tempo interiore, con il tempo vissuto dal paziente.

Dunque solo svestendosi “di indifferenza e dai propri ruoli e per restare fermi ad ascoltare l‘altro cercando di comprendere la sua richiesta d’aiuto sarà possibile sviluppare “l’azione“ più corretta da adottare.

Lombardi Nicoletta

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