Sono consapevole del fatto che non si capisca molto di ciò che c’è scritto ma, se mi permettete, ve lo traduco.
Questa la toccante testimonianza di Helena un’infermiera. Un foglio per comunicare con lui e… tanto amore…
“Sono consapevole del fatto che non si capisca molto di ciò che c’è scritto ma, se mi permettete, ve lo traduco.
L’ha scritto un mio paziente, sulla sua cartella; la firma di chi lo ha accettato è la mia; lo conosco dalla notte che ha messo piede in reparto. Notte in cui il pronto soccorso era intasato, in cui i reparti si sono convertiti e hanno fatto posto a questi pazienti.
Signore anziano, le cui condizioni piano piano sono peggiorate. Dal momento in cui è stato ricoverato la sua preoccupazione più grande era “fuori stanno tutti bene?”.
Domanda che non era rivolta solo ai parenti che aveva lasciato a casa, ma anche a tutti i pazienti che aveva incontrato durante il ricovero e a tutte le persone al di fuori dall’ospedale.
Domanda che continuava a fare a tutti coloro che incontrava, giusto per essere sicuro che fosse davvero tutto ok e che fuori il mondo fosse ancora a colori.
Domanda che ha iniziato a fare ancora più incessantemente quando gli è stato messo il casco per poter respirare, come per sapere se lui fosse l’unico a star così male e se da quel momento potesse riuscire a riprendersi.
Da lì far domande è diventato più difficile.
Il respiro affannoso e il rumore incessante dell’ossigeno non permettono grandi conversazioni. Telefonare ai propri cari è diventato più complicato, quindi noi infermieri abbiamo iniziato a mandare i messaggi alla sua famiglia giusto per non farli preoccupare.Anche durante il turno di oggi il mio paziente continuava a farmi domande, ma trovavo difficile capirlo. Quindi armata di carta e penna abbiamo intrapreso la nostra conversazione.
La domanda del mio paziente era sempre la stessa: “andrà tutto bene per me, per te e tutti noi?”.
Cosa si risponde in questi casi?
Quando una persona deve la sua sopravvivenza ad una macchina, ma riesce comunque a preoccuparsi di te. Di te che sei lì notte e giorno, che quando gli sistemi i cuscini urla “sei un tesoro!”, che non appena senti un rumore strano scatti subito, che quando suona un allarme cerchi di sistemare tutto, che anche se i piedi fanno male e la testa scoppia sei sempre lì.
Ecco, il mio paziente pensa anche a te”.
Giuseppe Papagni
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