La tutela della sicurezza del paziente è l’unico motivo che giustifica l’utilizzo dei mezzi di contenzione. Deve essere limitata ai casi strettamente necessari.
La contenzione ha origine in psichiatria, dove un tempo appariva lecito che gli infermi di mente potessero essere contenuti con mezzi coercitivi. Questa norma, insieme ad altre sull’organizzazione dei manicomi è stata abolita con la legge 180/1978 e attualmente nel nostro ordinamento non c’è nessuna disposizione di legge che autorizzi la contenzione. Tuttavia, la contenzione oggi rappresenta un evento possibile in molti contesti: DSM, RSSA, reparti ospedalieri…
Il codice penale e il codice deontologico dell’infermiere (art. 30) indicano che la contenzione deve essere limitata solo ad eventi straordinari e deve essere sostenuta da prescrizione medica e da documentate valutazioni assistenziali.
Si possono distinguere quattro tipi di contenzione:
Le conseguenze dell’uso della contenzione fisica si dividono in danni diretti e indiretti.
Quelli diretti causati dalla pressione esercitata dal mezzo di contenzione causando lesioni nervose (es. pressione plesso brachiale), ischemiche (es.contrattura dei muscoli), asfissia (persone intrappolate nel tentativo di liberarsi), morte (per un prolungato stato di agitazione e lotta contro il mezzo).
Danni indiretti dovuti all’immobilità forzata come lesioni da pressione, cadute, infezioni nosocomiali, allungamento delle degenze, aumento del tasso di mortalità.
Ovviamente i mezzi di contenzione vanno applicati solo per evitare un danno imminente agli altri, per evitare un danno imminente al soggetto in stato di agitazione o per evitare gravi interruzioni del programma terapeutico o danni significativi all’ambiente.
Il diritto alla libertà del proprio corpo è sancito dall’articolo 13 della Costituzione: “La libertà è inviolabile”. Inoltre tale dichiarazione è rafforzata dall’articolo 32 della Costituzione: “…Nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio non giustifica necessariamente la contenzione (che dovrebbe essere applicata solo in via eccezionale e basandosi su disposizioni di legge su come questa verrà attuata); mai comunque la violenza fisica.
Il TSO prevede che una persona venga sottoposta a cure mediche contro la propria volontà presso SPDC – Servizi Psichici di Diagnosi e Cura. Il TSO è attualmente regolamentato dalla legge 23 dicembre 1978 n. 833. È un atto composito, di tipo medico e giuridico, che consente l’effettuazione di determinati accertamenti e terapie ad un soggetto affetto da malattia mentale che, anche se in presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, rifiuti il trattamento (solitamente per mancanza di consapevolezza di malattia).
Il concetto di Trattamento sanitario obbligatorio basato su valutazioni di gravità clinica e di urgenza, finalizzato alla tutela della salute e della sicurezza del paziente, ha sostituito la precedente normativa del 1904 riguardante il “ricovero coatto” (legge n. 36/1904), basato sul concetto di “pericolosità per sé e per gli altri e/o pubblico scandalo”, concetto maggiormente orientato verso la difesa sociale.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è disposto con provvedimento del Sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria, del Comune di residenza o del Comune dove la persona si trova momentaneamente.
Tutte e tre le condizioni devono essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico, che può essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi altro medico e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura pubblica (generalmente uno psichiatra della ASL).
Ricevute le certificazioni mediche il Sindaco, oppure un assessore delegato presso un ufficio preposto, ha 48 ore per disporre, tramite un’ordinanza, il TSO facendo accompagnare la persona dai vigili e dai sanitari presso un reparto psichiatrico di diagnosi e cura.
In un primo momento la persona viene invitata a seguire vigili e sanitari nel reparto ospedaliero, se si rifiuta viene prelevata con la forza, messa in ambulanza e trasferita al reparto ospedaliero.
Il Sindaco ha poi l’obbligo di inviare l’ordinanza di TSO al Giudice Tutelare (entro 48 ore successive al ricovero) per la convalida e il Giudice convalida il provvedimento entro le 48 ore successive (legge 180, art. 3 comma secondo).
Qualora manchi la convalida il TSO decade automaticamente. Il Giudice Tutelare può però anche non convalidare il provvedimento annullandolo.
Al termine dei 7 giorni, qualora non sia stata presentata dallo psichiatra del servizio una richiesta di prolungamento, il trattamento termina e lo psichiatra, non per forza lo stesso che ha proposto e convalidato il TSO, è tenuto a comunicare al Sindaco la cessazione delle condizioni richieste per l’internamento. Il Sindaco a sua volta lo comunica al Giudice Tutelare.
Terminato il periodo di TSO, non sono necessari né una firma per uscire dal reparto, né la presenza di qualcuno che venga a prendere il paziente, assumendosene la responsabilità. Difatti la persona che viene ricoverata in un reparto psichiatrico non è né incapace né interdetta. Egli conserva tutti i diritti e doveri di chiunque altro. Quindi può chiedere di essere dimessa in qualsiasi momento e questa richiesta deve essere immediatamente esaudita, altrimenti ci si trova di fronte al reato di sequestro di persona. Il TSO decade anche nel caso in cui i medici o il Sindaco o il Giudice Tutelare non abbiano specificato nel provvedimento le motivazioni che hanno reso attuabile il Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Il Giudice a questo punto convaliderà o meno il provvedimento e lo comunicherà al sindaco. Nel caso di proroga il paziente deve richiedere la notifica per evitare di rimanere chiuso in reparto, risultando ora un ricovero volontario.
Una volta venuto meno il TSO per scadenza dei termini la persona può chiedere di essere dimesso in ogni momento e tale richiesta deve essere esaudita.
Uno psichiatra del servizio – non necessariamente lo stesso che ha proposto o convalidato il trattamento sanitario obbligatorio – è tenuto a comunicare al sindaco la cessazione delle condizioni richieste per l’internamento. Quest’ultimo, entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione dello psichiatra emette un’ordinanza di revoca e ne dà comunicazione al giudice tutelare. Tale ordinanza di revoca dovrà aversi ogni qual volta il paziente venga dimesso, a prescindere dal momento in cui ciò si verifica: prima del settimo giorno, il settimo giorno, o – laddove sia stato ordinato un prolungamento – dopo sette giorni.
Quando la persona viene ricoverata in Trattamento Sanitario Obbligatorio presso il servizio psichiatrico, i suoi diritti (primo tra tutti quello alla libertà di movimento e di scelta) vengono limitati ed è obbligata a subire passivamente i trattamenti a lei somministrati (benché la persona non possa rifiutare le cure, questa ha il diritto di essere informata sulle terapie a cui viene sottoposta ed inoltre il diritto di sapere i nominativi e le qualifiche di chi opera nel reparto ed esigere che ogni infermiere deve avere sul camice un cartellino di riconoscimento).
In ogni caso è importante avere sempre chiaro il concetto sancito dall’art. 32 della Costituzione Italiana! La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Giuseppe Papagni
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