Infermieri

In UK parte la sperimentazione del gatekeeper nurse, l’infermiere “buttafori”

Il suo problema di salute può essere gestito altrove. Si può rivolgere al suo medico curante, oppure può andare in farmacia ad acquistare dei farmaci da banco. Mi spiace, ma non possiamo ammetterla in Pronto Soccorso

Immaginereste un infermiere che si rivolga in questo modo, ad un paziente, alla soglia di un Dipartimento di Emergenza-Urgenza?

Improponibile.

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Contrario alla deontologia.

Quasi blasfemo.

Eppure, non è impossibile. Anzi, esiste già.

La figura del “gatekeeper” nurse, ovvero di un infermiere “guardiano”, che letteralmente respinge alla porta, prima ancora del triage, gli accessi impropri nei Pronto Soccorso (A&E). Questa costituisce una delle sperimentazioni più ardite del sistema sanitario pubblico britannico, tuttora in atto in alcuni Trust (come a Bournemouth, dove alcuni tabloid già hanno coniato l’espressione, non proprio entusiasmante, “bouncer nurses”, “infermieri buttafuori”); mentre altri hanno abbandonato il progetto (ad esempio, a Cambridge), soprattutto per problematiche legate ad una carente formazione del personale.

Funzioni simili vengono ricoperte dagli infermieri anche nelle Rapid Access Clinic, ambulatori specialistici ad accesso rapido, i quali, tuttavia, non sono tenuti ad accettare indiscriminatamente pazienti “alla porta” (walk-in), ma possono filtrare le urgenze, sulla base delle richieste di consulenza urgenti (referral) provenienti da altri professionisti.

In buona sostanza, le Rapid Access Clinic, intervenendo sulle cosiddette “urgenze differibili” (ovvero da gestire in un arco temporale compreso tra le 24 ore e le 2 settimane, in alcuni casi), possono legalmente rifiutare alcuni pazienti, reindirizzandoli altrove.

Ma i Pronto Soccorso no. Almeno in teoria. Almeno finora.

Uno dei capisaldi nella costituzione dei Dipartimenti di Emergenza-Urgenza è stata infatti l’immediatezza e l’universalità dell’assistenza sanitaria prestata, a condizione, ovviamente, che il sistema sanitario sia pubblico e gratuito per tutti, come in Italia o in Gran Bretagna.

Se invece concentriamo la nostra attenzione ai sistemi di Paesi come gli Stati Uniti, tutte le argomentazioni qui esposte vengono a cadere, per ragioni ben note.

Nel corso dei decenni ed in particolar modo negli ultimi anni, tuttavia, l’aumento della domanda di servizi sanitari ha generato una criticità nell’offerta, soprattutto quella presente sul territorio, costringendo – o spingendo – molti cittadini/pazienti a bypassare gli appuntamenti e liste di attesa, per trovare immediata rassicurazione alle proprie problematiche di salute nell’ambiente che, teoricamente, è meglio attrezzato a soddisfarle, ovvero il Pronto Soccorso: vado in ospedale, così mi rivoltano come un calzino e risolvo tutto in poche ore”.

La domanda si è allora trasformata, i questi casi, in abuso dei servizi, finalizzato a risolvere “bagattelle” perfettamente gestibili altrove.

I Governi della sanità hanno risposto a questi cambiamenti con soluzioni differenti.

Nel nostro Sistema Sanitario Nazionale, ad esempio, per i casi non urgenti è stata creata la categoria dei codici bianchi, per i quali, alla prestazione, corrisponde il pagamento di una somma di denaro forfettaria (ticket).

Nel Regno Unito, in cui invece la gratuità dell’assistenza sanitaria erogata dal National Health Service (NHS) costituisce un inviolabile tabù, è stata elaborata un’intera gamma di soluzioni, di cui alcune già adottate e consolidate, come l’active triage o triage attivo, altre ancora in fase di sperimentazione, come, per l’appunto, il gatekeeper nurse, con l’obiettivo di rispettare il target ministeriale del 95% dei pazienti visitati e dimessi entro 4 ore, la cui violazione implica, altrimenti, sanzioni pecuniarie per il Trust.

L’elenco di tutte le proposte risale addirittura al 2005 ed è contenuto in un documento del Department of Health, il Ministero della Salute britannico, intitolato “Towards faster treatment: reducing attendance and wait at emergency departments”, in cui erano già citati anche il fast track ed il case management delle patologie croniche, che troveremo poi implementati in molti sistemi sanitari, negli anni a venire.

Discutere sull’opportunità, eticità ed utilità del gatekeeping, tuttavia, è ancora oggi talmente ardito, anzi così proibito, da far rizzare i capelli anche a molti colleghi che lavorano in Gran Bretagna.

Ma è davvero così contrario alla deontologia professionale respingere un paziente alla porta di un Pronto Soccorso? Stiamo negando assistenza e cure ad un essere umano che chiede aiuto? Il gatekeeping è un servizio ridondante, rispetto al triage? Occorrerebbe invece rinforzare quest’ultimo?

Partiamo da una imprescindibile considerazione iniziale: il gatekeeping è inteso come una forma di primary care streaming, ovvero di reindirizzamento ai servizi di cure primarie.

Questi ultimi non sono presenti solo sul territorio, ma possono essere fisicamente situati  all’interno della stessa struttura ospedaliera: tutti i maggiori ospedali del Regno Unito comprendono, all’interno del Dipartimento di Emergenza-Urgenza, un Urgent Care Centre, dove operano General Practitioners (GP), l’equivalente inglese dei medici di famiglia.

Il gatekeeping costituisce, pertanto, una sottocategoria della più generale funzione di streaming, che comprende – lo vedremo meglio – anche il triage.

Cosa si intende esattamente per streaming?

Benché il termine “stream” possa genericamente essere tradotto come “flusso”, la figura dello streamer, che comprende quindi anche quella del gatekeeper, non deve essere confusa con quella dellinfermiere flussista o di processo, sperimentata con successo ed adottata in alcuni nosocomi nostrani, come in quel di Bologna.

Tra i ruoli esiste infatti una differenza rilevante sul piano organizzativo: il flussista coordina la gestione integrata di pazienti già inizialmente filtrati ed indirizzati dal triagista sulla base del codice di priorità, lo streamer, tra cui rientrano il triagista stesso ed il gatekeeper, indirizza il paziente verso il servizio appropriato (ad esempio, verso l’Urgent Care Centre – deputato a gestire i minors, i casi di minore complessità e condizioni che non mettono a repentaglio la sopravvivenza del paziente – piuttosto che verso l’A&E, in cui vengono invece trattati i majors) e verso il professionista appropriato (Nurse Practitioner, medico di famiglia o specialista di A&E), nel momento e nel luogo del primo accesso del paziente alla struttura ospedaliera. 

Va da sé, poi, che – almeno al momento – un infermiere “alla porta” in Italia non reindirizza il paziente verso un servizio di cure primarie presente sul territorio, semmai assegnerà un codice bianco.

Il Royal College of Emergency Medicine, nel febbraio del 2017, ha emanato una guida specifica sui sistemi di streaming, dal titolo “Initial assessement of Emergency Department patients”.

Ne possono essere individuate diverse tipologie.

1) Streaming semplice

Si basa esclusivamente su una valutazione clinica. Uno streaming di buona qualità, in genere, implicherà una breve anamnesi e la rilevazione di parametri vitali e di osservazioni di base. Lo streaming può prevedere il calcolo di un punteggio (score), come il National Early Warning Score (NEWS), che nel Regno Unito riunisce, in un’unica scheda informativa, diversi parametri vitali. Intraprendere azioni di primo soccorso, fornendo analgesia (che nel Regno Unito può essere somministrata dall’infermiere senza prescrizione medica in situazioni standard, ma sulla base di protocolli, i Patient Group Directions) ed eseguendo test semplici (per esempio una glicemia capillare) può ragionevolmente rientrare nella definizione di streaming semplice.

Il processo di triage, rappresenta, come già accennato, la più semplice forma di streaming, mentre altre forme di streaming semplice possono consistere nello “smistamento” dei pazienti verso un servizio specialistico, come un Urgent Care oftalmologico, oppure verso un centro di cure primarie “co-located” (all’interno della struttura), o sul territorio.

2) Streaming complesso

Lo streaming più avanzato, o complesso, si riferisce al processo nel quale c’è una valutazione più dettagliata del paziente. Nello specifico, una valutazione di priorità ed acuzie, cui si accompagna l’assegnazione del paziente al servizio più indicato, nel rispetto di  una tempistica adeguata. In aggiunta, vengono avviate indagini diagnostiche (come la richiesta di prelievi ematici od esami radiologici), allo scopo di accelerare i processi decisionali clinici.

 

In un documento intitolato “Clinical streaming in the Accident and Emergency Department”, elaborato alcuni mesi più tardi, sempre nel 2017, l’NHS England ha poi ulteriormente definito i principi di tale processo, basandoli sulle opinioni degli esperti del settore. In particolare, recependo proprio le indicazioni fornite dal Royal College of Emergency Medicine e dall’NHS Improvement, l’ente addetto, nell’ambito del sistema sanitario pubblico, al miglioramento dei processi e dei servizi.

Esaminiamo in dettaglio i suddetti principi:

  • La gestione della “porta d’ingresso” del Dipartimento di A&E deve essere effettuata dal Trust e non dai servizi di cure primarie presenti sul territorio (come gli ambulatori dei medici di famiglia) e rientrare nei sistemi di miglioramento della qualità e di governance.
  • Lo streaming clinico alla porta, compreso il reindirizzamento ai servizi di assistenza primaria sul territorio, deve essere una funzione integrata e sempre eseguita da un professionista esperto. Laddove, all’interno di sistemi di streaming, operino professionisti appartenenti a servizi diversi, deve sempre esistere uno sviluppo congiunto di tali sistemi ed accordi di governance condivisi.
  • Lo streaming deve essere eseguito il prima possibile e comunque entro i 15 minuti dell’arrivo del paziente. Perché ciò avvenga, la capacità del servizio deve essere pianificata, in modo da soddisfare la variazione della domanda e non la domanda media, per rispondere ai picchi di afflusso.
  • Lo streaming richiede in genere una breve anamnesi e la rilevazione di parametri vitali ed osservazioni di base, se del caso. Queste informazioni possono anche essere utilizzate per supportare il triage, nella definizione delle priorità all’interno dei flussi di pazienti.
  • Lo streaming deve includere il calcolo di un punteggio, ad esempio il National Early Warning Score (NEWS), od il suo equivalente pediatrico (PEWS). Queste scale dovrebbero essere parte della valutazione dell’acuzie e non l’unico riferimento per l’adozione delle decisioni di streaming.
  • Lo streaming presuppone esplicitamente che i servizi di Urgent Care siano localizzati in prossimità del Pronto Soccorso e che esistano protocolli che consentano ai pazienti di essere immediatamente rimandati in A&E, se necessario.
  • Il reindirizzamento ad altri professionisti e servizi off site, cioè non presenti nella struttura, richiede poi ulteriori salvaguardie, per garantire che esso venga eseguito in maniera appropriata e sicura e che il servizio abbia accettato il paziente.

Le indicazioni dell’NHS England evidenziano pertanto che, qualsiasi processo di streaming venga adottato, esso deve essere progettato in modo che la sicurezza del paziente prevalga su ogni altra considerazione. Qualsiasi processo di valutazione iniziale deve essere inteso a  migliorare la qualità complessiva delle cure fornite ed aggiungere valore all’esperienza del paziente, assicurando che venga visitato dal professionista più adatto a soddisfare lo specifico bisogno di salute, nel contesto più adeguato.

Un elemento decisivo, ai fini della costruzione di una “customer experience” soddisfacente, durante lo streaming, è poi l’educazione ed informazione del paziente.

Ci ritorneremo fra poco.

Come funziona, nel dettaglio, il gatekeeping?

All’arrivo del paziente, infermieri con competenze avanzate, ovvero gli Advanced Nurse Practitioners del sistema britannico, pongono ai pazienti una serie di domande, eseguono una valutazione visiva (“no hands”, cioè senza contatto, a parte appunto quello visivo) e poi decidono se quel paziente debba ricevere un trattamento nel Dipartimento di Emergenza-Urgenza, oppure se la sua problematica sia appropriata per essere gestita da servizi alternativi, come un Urgent Care Centre “co-located”, cioè situato all’interno dell’edificio ospedaliero, dove sono presenti dei GP. Un grossolano criterio di distinzione è basato sulla differenza tra l’injury, l’infortunio, per il quale sarà più indicata la gestione in Pronto Soccorso, e l’illness, la patologia, che può essere invece “smistata” ad un medico di famiglia.

I pazienti riceveranno quindi un appuntamento con un General Practitioner presente nella struttura ospedaliera, ma l’infermiere potrà anche inviare i pazienti all’ambulatorio del proprio GP o ad una farmacia, per acquistare farmaci da banco.

Nessuno viene rimandato a casa, ma semplicemente reindirizzato verso altri servizi, se ciò è appropriato.

Il gatekeeping, rientrando nel più generale concetto di streaming, garantisce quindi un contenimento della pressione sui servizi di Emergenza-Urgenza derivante da numerosi accessi impropri. Il Trust del Royal Bournemouth Hospital, che ha avviato la sperimentazione la scorsa estate (ma molti quotidiani ne hanno parlato solo in questi giorni), riesce a “respingere” fino a 60 pazienti al giorno, senza ricevere lamentele da parte dei pazienti.

Al contrario, i practitioners coinvolti nel progetto trovano notevole gratificazione nel ricoprire un’importante ruolo di advocate per i pazienti, attraverso un’opera di informazione relativa ai servizi disponibili sul territorio od all’iscrizione ad un medico di famiglia (per chi ne fosse sprovvisto), fino ad arrivare ad un’attività di prevenzione e promozione della salute. D’altronde, come precedentemente evidenziavo, una fetta dei cittadini/pazienti che afferiscono alle strutture di Pronto Soccorso punta a ricevere consigli qualificati da parte di un professionista, indicazioni circa la gravità o meno della propria sintomatologia, riferimenti sul territorio, piuttosto che cure immediate.

Gli infermieri gatekeepers, quindi, soddisfano le esigenze di di questa particolare utenza.

Il risultato conseguito da Bournemouth è certamente da tenere sott’occhio, posto che, dal fenomeno dell’abuso al ricorso dei servizi di Pronto Soccorso, scaturiscono numerose problematiche:

  • in primo luogo, una notevole dilatazione dei tempi di attesa, anche per pazienti per i quali la tempestività degli interventi è determinante;
  • un aumento della probabilità di errori commessi dal personale;
  • un incremento della conflittualità e delle aggressioni a medici ed infermieri; nonché, almeno nel sistema sanitario britannico, perdite economiche legate alle sanzioni per il mancato rispetto del target delle 4 ore, per il trattamento e la dimissione del 95% dei pazienti affluenti al servizio.

Sforare questo target costa caro: lo sanno bene molti Trust, come quello di Northampton, il cui deficit, proprio per le problematiche riscontrate nella tempistica dei servizi di A&E, è salito, quest’anno, a 18 milioni di sterline.

Alla luce di queste considerazioni, bloccare alla porta accessi impropri suona ancora così contrario alla deontologia professionale?

 

Luigi D’Onofrio

Luigi D'Onofrio

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Luigi D'Onofrio

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