Infermiere 44enne del San Carlo muore donando i propri organi: “Il Bomba continua a salvare vite”

Si trattava di Massimiliano Bombardieri, conosciuto da tutti in ospedale come «il Bomba»

È giunta pochi istanti fa la notizia della morte di un giovane infermiere di 44 anni in servizio presso il pronto soccorso del San Carlo dal 2003

Si trattava di Massimiliano Bombardieri, conosciuto da tutti in ospedale come «il Bomba». Tutti sapevano chi fosse perché si occupava dei corsi di addestramento inerenti all’emergenza extraospedaliera. Era anche tutor degli studenti e spesso dal pronto Soccorso si distaccava per uscire in diurna in ambulanza e di notte sull’automedica.

I colleghi lo attendevano in turno su Alfa 7 giovedì sera, ma ha accusato un malore fatale  a casa, a Cassinetta di Lugagnano, dove viveva con la compagna, tre figli dai 14 ai vent’anni e i suoi cani corsi.

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«Le 16.31, segna l’orario», ha fatto in tempo a dire alla sua Debora, infermiera in rianimazione, e al San Carlo di essersi sentito male. In ospedale c’era un’équipe ad aspettarlo ma non c’è stato niente da fare a causa di un’emorragia cerebrale devastante.

Ha donato gli organi, tutti quelli che poteva – tutti tranne il cuore –, e anche nella notte tra venerdì e sabato, mentre glieli prelevavano per salvar vite in tutt’Italia isole incluse, a vegliarlo c’era tutto l’ospedale. Colleghi fuori turno e colleghi al lavoro, nonostante il dolore.

Il direttore dell’Asst dei Santi Matteo Stocco ha deciso che la nuova Tac che sarà inaugurata il 28 aprile sarà dedicata «alla memoria di Massimiliano, che resterà nei cuori di tutti e nel suo pronto soccorso». Lì il Bomba era molto più di un bravissimo infermiere.

La sua amica Sara Ballabio e la primaria Francesca Cortellaro hanno chiesto ai suoi colleghi di raccontarlo, in una notte molto difficile.

Qui sotto sono presenti alcuni dei molti messaggi apparsi sui social network:

«Si spegne un eroe della sanità», i colleghi di Massimiliano Bombardieri detto Bomba.

«Oggi non sono di turno, tanti di noi non lo sono ma non riuscivo a stare in nessun altro posto che non fosse l’ospedale – scrive Donatella di getto –. Max ci ha tirato un brutto scherzo. È difficile spiegare a un esterno quanto in Ps impari a fidarti delle persone con cui lavori… E cavolo Bomba io a te avrei affidato il mondo»

.

«Ciao sono Max, mi chiamano Bomba, sono un po’ il boss qui, fammi sapere se hai bisogno di qualcosa»: così le si era presentato. La prima persona conosciuta al San Carlo per tanti, «con un carisma da grande direttore d’orchestra», aggiunge un collega, e «quando inizi a lavorare in pronto soccorso capisci subito di essere in trincea ma che non sei solo, vicino a te c’è la tua nuova famiglia, le persone con cui trascorrerai Natale e Capodanno».

Con i propri colleghi si era creata una vera e propria famiglia allargata: tutti ricordano quanto il Bomba fosse innamorato della sua compagna Debora detta Dudu, infermiera di Rianimazione. Avevano avuto tre figli di età compresa tra i 14 ed i 20 anni.

Lui diceva sempre orgoglioso: «È la donna più bella del mondo». «Eri l’anima del pronto soccorso, mi hai guidata nelle mie prime notti in Ps – ricorda una neurologa –. Hai sempre fatto così, sempre tu avanti a tutti, facevi diagnosi già dalle porte del triage».

Anche Francesca Cortellaro, primaria del Ps dal 2017, ha condiviso con «Max la mia prima notte in automedica al San Carlo: in una cantina per un malore improvviso, ero incantata da come sapeva muoversi, come un ballerino sul palco. Era una colonna portante, un naturale diffusore di sicurezza. Lo chiamavano quando un paziente in ventilazione non andava bene, quando non si trovava l’accesso venoso o per inventarsi come raccordare un drenaggio nuovo. Una di quelle persone che ognuno di noi vorrebbe avere sempre intorno – scrive la primaria e ricorda anche il suo – primo pesce d’aprile», si era «travestito da politrauma».

Gli scrivono, i colleghi: «Sei stato un faro, il mio». «Un uomo con la schiena diritta, anche a costo di rimetterci».

Chi lo ringrazia per esser stato «un grande maestro sia nel lavoro che nella vita», chi perché «ci ha insegnato come occupare il nostro posto nel mondo, col sorriso, la compostezza, la gentilezza, l’ironia. Con l’amore che ha seminato fino all’ultimo minuto e fino all’ultima cellula».

«Bomba – scrive Cristinami hai insegnato il segreto per fare questo lavoro con la stessa competenza e preparazione ma un po’ più di leggerezza e allegria, cose senza cui questa meravigliosa professione ti schiaccia dopo un attimo».

E un’altra collega non può credere «che non ti vedrò più scoppiare a ridere, tenermi incastrata nei tuoi discorsi contorti per farmi buttare fuori tutto il male. Anche quando mi sfottevi per “l’infermiera di serie B”».

Era uno degli scherzi di Bombardieri, che era bravo, bravissimo, «testardo, spesso permaloso, a volte intransigente, orgoglioso. E generoso, sempre pronto ad aiutare tutti i colleghi, e quanto gli piaceva quando qualcuno lo chiamava! – racconta Luisa, la caposala –. In tanti anni abbiamo litigato, ma l’affetto e la stima mettevano sempre le discussioni in secondo piano.

“Anche se ‘ci accoltelliamo’ voglio solo te come caposala”», le aveva detto nel loro ultimo incontro. «Bomba era un soprannome che la vita ti aveva donato, o che forse avevi donato tu alla vita», scrive un’altra collega, in quest’epitaffio collettivo in niente ipocrita, perché il Bomba al San Carlo lo piangono come si piange un familiare. «Sei riuscito a prenderti un bel pezzo del mio cuore», scrive Gabri, e del resto lui era «un collega e amico unico – dice l’infermiera Sara, che ci ha condiviso 16 anni in Ps – tra scontri e confronti, risate e momenti difficili. Quanto ci hai insegnato e quanto continui a insegnarci.

Dopo tante vite salvate, continui con un grande gesto della tua amata Debora. Fortunato colui che riceverà una parte di te Max».

«Una parte di energia pura e generosità», aggiunge un altro di quelli che «eravamo lì con te fino all’ultimo».

Come Keo, che promette «Tu ci hai lasciato ma noi non lasceremo te». E Fiodor, che scrive «Una vita spesa a salvare la gente e a insegnare a salvare la gente. Poi il destino mi mette lì ad aspettarti, mi affianca un esercito del meglio che si possa sperare, ma a nulla serve. E quando l’ira si fa breccia nei nostri cuori, ecco lo smacco del Bomba! Anche da morto ne salverai ancora col tuo dono. Addio compare, se qualcosa c’è di là, staranno attaccando la griglia e stappando una birra aspettandoti».

 

Simone Gussoni

Fonte: Il Mattino

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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