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Infermieri alla ricerca di una alleanza assistenziale

Il paziente è il miglior collega che abbiamo…

“Se si cura una patologia o si vince o si perde.

Se si cura una persona vi garantisco che si vince,

qualunque esito abbia la terapia”

…Patch Adams  

 

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Si definisce fragile, un oggetto che può facilmente rompersi, pensiamo ad un bicchiere di cristallo, un vaso di porcellana ecc … quindi necessità di molta cura e attenzione nel manipolarlo. Così allo stesso modo possiamo considerare una “persona fragile”, che necessità di particolari attenzioni nella sua presa in carico, quindi l’assunzione di responsabilità da parte dell’infermiere nei confronti di una persona che ha bisogno di una risposta in termini di sostegno e trattamento; tramite la formulazione di un progetto terapeutico, assistenziale e riabilitativo è l’espressione concreta della presa in carico da parte del servizio. Essa inizia nel momento in cui la persona si rivolge ad un professionista per risolvere un bisogno assistenziale.

La presa in carico è la fase in cui si conosce direttamente la persona e l’ambiente fisico e socio familiare in cui vive; si mettono le basi per costruire un rapporto di fiducia, una “alleanza assistenziale”, fra infermiere e assistito, fra l’equipe, la persona e la sua famiglia. La presa in carico della persona è globale, si prendono in considerazione non soltanto i problemi fisici ma anche quelli psicologici, sociali, familiari e ambientali. Essa  necessita di un’interazione tra professionista e assistito, attuazione di una pianificazione dell’assistenza, educazione della persona e dei suoi familiari, individuazione e attivazione delle risorse familiari e non.

Per tutto questo è anche necessario l’integrazione fra gli operatori dei vari servizi. Il percorso assistenziale, non comprende solo aspetti prettamente assistenziali, ma comprende anche tutto ciò che riguarda l’educazione della persona e della sua famiglia, soprattutto nel momento della dimissione ospedaliera e a livello dell’assistenza domiciliare.

L’educazione sanitaria consiste in una varietà di esperienze di apprendimento progettati per promuovere comportamenti che facilitano la salute. L’educazione sanitaria è importante nell’assistenza infermieristica, in quanto può influenzare la capacità di individui e famiglie di attuare comportamenti che conducono a una cura di sé ottimale.

La fragilità è una condizione di vulnerabilità latente a cui consegue un crescente rischio di disabilità. È uno stato dinamico legato a perdite sia di ordine fisico che psichico e sociale; l’interazione fra questi elementi spiegherebbe il frequente comparire, specie nell’anziano, di scompensi fisici e/o comportamentali senza un riferimento specifico ad un organo.
È un fenomeno che attraversa tutte le fasce di età, ma si concentra essenzialmente nella fascia degli anziani: il dato italiano di prevalenza è del 14,3% negli ultra sessantacinquenni.
L’infermiere deve sospettare una possibile fragilità in tutte le persone anziane, anche se autonome nelle attività della vita quotidiana.
Il sospetto di fragilità si basa sull’osservazione e/o sulla narrazione della persona raccogliendo in parallelo dati sulla motricità, sulle capacità cognitive, sugli organi di senso e su tutti gli elementi, anche i socio-ambientali, che concorrono all’autonomia personale e sociale.

Le persone affette da malattie croniche sono persone potenzialmente fragili, che oggi maggiormente necessitano di educazione sanitaria. L’educazione sanitaria può aiutare questi individui ad adattarsi alla malattia, a prevenire le complicanze, a eseguire la terapia prescritta e a risolvere problemi che derivano dal misurarsi con nuove situazioni. Può anche prevenire situazioni critiche e ridurre la riospedalizzazione derivante da inadeguate informazioni sulla cura di sé. Lo scopo dell’educazione sanitaria è quello di insegnare alle persone a vivere al meglio con i loro problemi di salute, raggiungendo comunque il loro massimo potenziale di salute.

Nella moderna accezione di assistenza infermieristica, la funzione assistenziale e la funzione educativa sono strettamente collegati e dipendenti l’una dall’altra, in quanto la persona ha diritto a ricevere, accanto alle prestazioni assistenziali, anche un’educazione alla conoscenza e alla modalità di soluzione dei problemi di salute,in modo da arrivare quanto prima ad una autonoma gestione degli stessi. Educare l’assistito quindi vuol dire far emergere quelle risorse personale e famigliari, che non sapeva neppure di possedere, renderlo consapevole, autonomo, aiutarlo a trasformare la realtà in cui vive, aiutarlo ad adattarsi ad un nuovo stile di vita necessario per convivere con la malattia che spesso ha un andamento cronico.

Facendo un esempio, osservazioni recenti, hanno riconosciuto due diversi modi con cui, solitamente, il caregiver apprende le tecniche assistenziali:

  • da solo, con un esperienza progressiva nel tempo, assistendo un familiare;
  • tramite osservazione diretta durante il periodo di degenza ospedaliera e successiva sperimentazione a casa.

Entrambi questi approcci possono sviluppare  comportamenti errati, sia per l’assistente che per l’assistito; in particolare, nell’auto-apprendimento è facile faticare molto più del necessario per acquisire le migliori modalità assistenziali, mentre per l’apprendimento tramite osservazione le tecniche ospedaliere spesso non sono perfettamente trasmissibili a domicilio.

Importante, quindi, da parte dell’infermiere promuovere un assistenza adeguata e un educazione mirata a carico dei familiari per promuovere comportamenti adeguati e che limitano anche l’affaticamento della persona che si fa carico dell’assistenza (caregiver).

L’educazione assistenziale non è solo comunicazione pura e semplice delle informazioni necessarie per la comprensione della malattia e l’esecuzione di azioni preventive e delle prescrizioni, ma è un difficile processo formativo che deve saper indurre nell’assistito un atteggiamento relazionale collaborativo e motivato, che deve incitare la persona ad usare le sue conoscenze, abilità e competenze per riuscire ad autogestirsi.

La non accettazione della patologia e la mancata ricerca da parte del sanitario di una relazione di fiducia, influisce sul rifiuto da parte dell’assistito di collaborare ed apprendere le indicazioni che l’infermiere elargisce per l’autocura della persona.

Le aziende sanitarie privilegiano spesso la cura per patologie acute (tipicamente in ambito ospedaliero) a discapito dei servizi di assistenza / sostegno domiciliare e di educazione sanitaria alla popolazione, ma la riduzione delle giornate di degenza e la dimissione precoce, ha caricato le famiglie di ulteriori compiti assistenziali, e le aziende hanno iniziato a valorizzare anche l’aspetto dei servizi di sostegno alla persona a domicilio e alla famiglia. Di fatto si richiede che diverse tecniche assistenziali siano effettuate a domicilio dai familiari ma, spesso, senza valutare le loro conoscenze o abilità d’esecuzione, tanto che molte famiglie si trovano nella situazione di voler assistere i propri congiunti a domicilio ma non se ne sentono pienamente capaci.

Anche se le competenze per assistere un malato si sono diluite nel tempo, il desiderio di prendersi cura di un congiunto è rimasto sempre forte nelle persone. Questa dissonanza tra desiderio di partecipare alla gestione della malattia del proprio congiunto e l’incapacità di poterlo realmente fare, per mancanza di conoscenze e abilità di base, è la maggior fonte di stress per il familiare che si prende cura di un’altra persona.

Purtroppo, di solito, si prende atto di queste carenze assistenziali davanti al fatto compiuto, cioè quando un familiare si ammala (spesso con rapido declino delle capacità fisiche e psichiche); al contrario, quando tutti i componenti di una famiglia sono in salute, si pensa erroneamente che alcuni comportamenti assistenziali, quali muovere, lavare, imboccare, siano quasi innati. Importante risulta per la presa in carico, la ricerca di un’alleanza assistenziale rivolta non solo alla persona assistita, ma soprattutto per la ricerca di una cooperazione con i familiari.

Chi sta vicino alla persona, chi svolge il ruolo di caregiver, può costituire una risorsa terapeutica molto utile in tutte le fasi dell’intervento assistenziale. Questo è molto importante in quanto la malattia dell’assistito, non riguarda solo lui ma anche quella rete sociale che lo circonda e coinvolge inevitabilmente anche la famiglia.

Questo può provocare sconvolgimento delle relazioni, nell’organizzazione e nei ruoli. E’ un momento delicato in cui il personale sanitario deve attivarsi e interessarsi alla relazione con la famiglia dell’assistito e creando soprattutto una complicità diretta con l’assistito, allo scopo di creare una relazione di fiducia e conoscenza valida sia sul piano umano che educativo.

A livello territoriale, per ogni assistito viene individuato un case manager, solitamente individuato tra gli infermieri, che all’interno dell’UVM stila il piano assistenziale condiviso con l’assistito e la sua famiglia.

Lo scopo principale della ricerca di un alleanza assistenziale con la persona e la famiglia è:

  • Sostenere e mantenere l’autonomia: per mantenere l’indipendenza funzionale, non sostituendosi alla persona ma educandola ed aiutandola a sviluppare le proprie risorse,
  • Evitare conflitti ma favorire il confronto e l’elaborazione di esperienze,
  • Costituzione di un ambiente protesico: creando un ambiente adatto alle esigenze e bisogni dell’assistito,
  • Proporre compiti semplici e reali,
  • Mantenere un contatto con i familiari e fornirgli sostegno in modo da favorire l’aumento dell’autostima e la diminuzione del senso di impotenza, evitando risposte inefficaci dei familiari verso il proprio caro, e ambiente inefficace,migliorando la qualità di vita.

L’assistenza infermieristica consiste essenzialmente nell’assumere come problema non tanto la malattia, quanto le sue conseguenze fisiologiche, psicologiche e sociali sul vivere quotidiano e sull’autonomia della persona malata, considerata secondo una chiave di lettura olistica. In tale ottica assume rilevanza la qualità della relazione e della comunicazione. L’infermiere svolge una funzione di supporto e terapeutica attraverso la relazione, efficace e personalizzata, finalizzata al soddisfacimento dei bisogni, al recupero dell’autonomia ed all’adattamento allo stress che ogni malattia o forma di disagio porta con sé.

L’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, deve favorirne i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Il raggiungimento di un’alleanza assistenziale permette l’attuazione di un “total care” della persona. L’alleanza rappresenta un rapporto collaborativo e si stabilisce tra assistito e infermiere, ovvero si crea una dimensione interattiva,riferita alla capacità di entrambi di sviluppare una relazione basata su fiducia,rispetto, collaborazione al lavoro comune. In definitiva questo permette anche di effettuare una miglior educazione dell’assistito, guidandolo anche nello sviluppo delle proprie potenzialità, e delle capacità residue (capacità rimaste integre successivamente all’esito di una malattia).

“Il paziente è il miglior collega che abbiamo…

L’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati”.

Codice deontologico dell’ infermiere 2009, Art.21

 

Dott. Cosimo Della Pietà

 

 

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