Infermieri e carenze: qualità o quantità?

La questione annosa delle carenze organiche nell’ambito della distribuzione dei professionisti Infermieri è, ormai, cosa nota. Affrontata più o meno seriamente dalle varie Aziende, Politica, Istituzioni e quant’altro, ha avuto un’eco di portata massiva soprattutto durante il periodo dell’emergenza Covid.

A gran voce il nostro Ordine professionale ha sottolineato quanto l’esiguità del contingente di operatori sia pericoloso per la salute dei pazienti (a dimostrazione di questo anche studi scientifici). Auspichiamo, quindi, che al grido di allarme segua una risposta seria e concreta una volta per tutte, senza ricorrere a palliativi di vario genere per non affrontare la questione in maniera radicale.

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Una politica di assunzioni che si possa definire tale presuppone un approccio di concerto di tutte le varie istituzioni coinvolte nella definizione dell’assetto professionale.

Data questa premessa, sorge spontanea una riflessione su quello che è il cuore della questione. Più specificatamente mi chiedo se il problema della professione, seppur affetto da una esiguità di organici impiegati, non risieda nell’organizzazione della stessa nei contesti operativi.

In buona sostanza la ridefinizione del ruolo del professionista infermiere inserito nell’equipe di cura risulta, a mio modo di vedere, una questione altrettanto urgente al fine di garantire in primis la sicurezza delle cure ed in secundis una doverosa valorizzazione professionale con conseguente riconoscimento sotto vari aspetti; non da ultimo quello economico.

Occorre chiarire una volta per tutte il vero ruolo dell’Infermiere come professionista dell’assistenza; mettere in pratica davvero ciò che è sancito da leggi, profilo professionale e codice deontologico, nonché dall’orientamento giurisprudenziale che concorre a definire chiaramente la nostra figura.

Non è più tempo per rimandare la questione, anche se i primi a doverne prendere coscienza siamo noi stessi con un approccio univoco e coeso alla nostra professionalità. Un approccio che non prevede svendite di alcun genere né, tantomeno, il colmare carenze ormai sedimentate di cui non siamo responsabili e, soprattutto, fanno male alla categoria ed ai nostri assistiti. La sicurezza delle cure passa anche attraverso la consapevolezza professionale: quella di essere una categoria di professionisti della salute in grado di fare la differenza nel percorso di cura.

Il focus del cambiamento sta nel mirare alla vera autonomia che passi dalle seguenti istanze:
  • Riformare ed innalzare il livello della formazione di base e post base uniformandola il più possibile a livello nazionale e pretendere che sia nostro appannaggio. Una soluzione potrebbe essere quella di istituire una facoltà autonoma in Ateneo.
  • Uscire dal comparto ed ottenere finalmente una contrattazione ad hoc per i professionisti sanitari, in modo da ridefinire competenze e riconoscimenti peculiari e non appiattiti.
  • Ottenere un’area specifica di definizione delle nostre prestazioni nel sistema sanitario (drg infermieristici).
  • Essere presenti nello scenario politico per contribuire al fattivo cambiamento.

In definitiva credo che siamo ancora lontani da conquiste epocali, vista l’assoluta frammentarietà del panorama professionale che non ci permette di avere un margine di azione ampio. Molti freni sono messi dalla varietà di contesti come, ad esempio, situazioni contrattuali discutibili che tendono a rendere ricattabile il professionista a giovamento di talune scellerate gestioni aziendali.

Come pure una mancata motivazione data da una distorta richiesta di intervento volta a colmare carenze, facendo credere che sia responsabilità dell’infermiere, quando magari è solamente una soluzione di comodo. Mi riferisco all’ “utilizzo” degli Infermieri come oss per colmare carenze organizzative, mettendo a rischio la salute dei pazienti! Decine di sentenze sono state pronunciate in questo senso, che ribadiscono che non spetta all’infermiere colmare questo tipo di gap organizzativi, eppure si continua ancora a reiterare questa assurda pratica!

Ecco, in casi come questo non servono più infermieri ma più figure di supporto. Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo e di attuarlo, oltre al fatto di evitare la confusione dei ruoli.

La formazione incide molto su questo aspetto. Lo studente di infermieristica non è una “forza lavoro” ma un professionista in formazione che sta completando un percorso di studi e, come tale, va rispettato e supportato durante il suo iter.
Il suo percorso didattico è una cosa seria e sta alla base della costruzione di una professione che debba avere una credibilità solida. Ecco, su questo avrei qualche perplessità in quanto, complici assurdi retaggi culturali, il più delle volte l’infermiere non risulta credibile o, peggio, viene screditato in maniera becera.

In conclusione la ridefinizione del ruolo dell’Infermiere ha sete di svolte radicali sotto tutti gli aspetti che ho citato ma mi preme rivolgere un’esortazione all’intera categoria: dimostriamo di essere professionisti seri, dimostriamo di essere credibili con il nostro operato ed abbandoniamo una volta per tutte la figura compassionevole dell’infermierino in missione!

Ce lo dobbiamo!

Anna Di Martino

Anna Di Martino

Infermiera Strumentista, attualmente nella specialità di cardiochirurgia, Autore per Nurse Times, Master in Coordinamento, Master "Strumentista di so", studentessa magistrale presso UNICH, rappresentante di sezione regione Abruzzo per la Società scientifica ANIPIO

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Anna Di Martino

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