Infermieri in piazza: nessuna assistenza senza tutela di dignità e professionalità

Riceviamo e pubblichiamo un contributo del collega Marco Di Grazia.

Invisibili, eroi, untori, e poi di nuovo invisibili. La genesi surreale di una figura professionale che, ritrovatasi sulla giostra del perbenismo e dell’ipocrisia, torna al punto di partenza. Il 10 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità annuncia: è pandemia. Da quel giorno ogni italiano si sente in diritto di sfoggiare tutta la sua pseudo-gratitudine e inizia a rilasciare discorsi e frasi piene di retorica, affibbiando a ogni infermiere, medico e operatore sanitario, appellativi altisonanti quali “angeli” o “eroi”.

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Così ha inizio un meccanismo di distorsione dove la consueta immagine dell’infermiere, che di rado risponde con toni poco carini alle molestie verbali di numerosi visitatori, si trasforma in eroe, e il virologo che dice la sua, avendo alle spalle anni di esperienze e studi, diventa un elemento da eliminare. Ogni categoria citata però, consapevole di continuare a svolgere la propria professione nella medesima maniera in cui si ritrovava a farlo prima di salire sulla giostra, si sente a disagio e cerca di divincolarsi da termini che, per quanto nobili, riecheggiano vuoti, enfatici e mossi solo da sentimenti di paura e ipocrisia.

L’immagine dell’infermiere eroe è un’immagine che ogni italiano ha costruito durante la pandemia, perché è quello di cui aveva bisogno. Un’immagine di pena e compassione per la loro posizione nella scala gerarchica. Un’immagine di uomo o di una donna stremati, dalle cui mani sarebbe potuta dipendere la sua vita. Un’immagine da ammirare e per alcuni mirare, per essere finita improvvisamente sotto i riflettori. Ed è così che, tre mesi dopo, ogni elogio non ha subito il suo normale processo di trasformazione in azione e nessuno ha riconosciuto nei termini che meritano la loro reale importanza per il Paese

.

E mentre tutti urlavano, ogni infermiere in silenzio si esponeva a un rischio abnorme, chiedendo semplicemente il rispetto dei propri diritti: un tampone per poter tornare a casa la sera dalla propria famiglia senza l’odore della paura di farle del male, una mascherina, un camice, un dispositivo di protezione individuale che gli permettesse di continuare a svolgere il proprio lavoro con la consapevolezza di aiutare gli altri, proteggendo anche se stesso. Eppure nessun infermiere, anche se profondamente offeso da atteggiamenti che non riconoscono la sua professionalità, si è mai tirato indietro, ne è disposto a farlo.

Oggi, gli infermieri lombardi e quelli del resto della nazione si sono riuniti nelle piazze di tutt’Italia per rivendicare il trattamento che hanno ricevuto prima, durante e dopo la pandemia. In silenzio, a braccia conserte, rispettando il distanziamento sociale, l’intera categoria ha manifestato per sottolineare la propria condizione economica inferiore rispetto a quella di tutta l’Europa, chiedendo il rinnovo del contratto scaduto nel 2018, il superamento del vincolo di esclusività, il riconoscimento delle competenze specialistiche, la valorizzazione dei percorsi di studi post laurea intrapresi, con conseguente lotta al demansionamento. Si può e si deve fare di più. Non può esistere nessuna assistenza, se non si tutela la dignità e la professionalità di ogni infermiere.

Marco Di Grazia

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