Categorie: Normative

La Legge 194 malattia irreversibile?

La 194 attraversa l’oceano e sbarca sul Times, non proprio una nota di merito stando alle statistiche.

La legge che prevede il diritto alle donne di poter interrompere la gravidanza, legge emanata nel 1978 a seguito di numerose iniziative della società civile e politica degli anni 70 volte a rendere legale una pratica spesso clandestina con i rischi ad essa connessa ed evitare viaggi della “speranza” all’estero, sta diventando sempre più difficile applicarla, o meglio, vedersi riconosciuto il diritto perché pare che nelle strutture pubbliche di questo Paese pare sia tornata di moda l’obiezione di coscienza.

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I numeri sono chiari, a parte Valle d’Aosta e Sardegna dove si resta sotto la soglia del 50%, in tutte le altre regioni i medici obiettori superano la metà degli operatori abilitati a tale pratica, con punte dell’80% -90&% o come in quel di Ascoli dove il 100% dei Ginecologi è obiettori costringendo le donne ad “emigrare” per poter abortire.

La storia di questo Paese ci ha insegnato come spesso il diritto di scegliere è in contrapposizione con l’altro diritto di “impedire”,  una contrapposizione che meriterebbe un’analisi filosofica ed etica che non è lo scopo di questo articolo.

Il mio compito qui è testimoniare il problema, diffondere quanto altri hanno già scritto e commentato, sebbene la notizia non abbia più di tanto scosso le coscienze e sia rimasta sullo sfondo in momento in cui la crisi economica pare stagliarsi ancora con maggior impatto nella nostra quotidianità con l’attacco finanziario alle banche, che renderanno se non cupi sicuramente preoccupanti le prossime settimane.

In questo “silenzio” apparentemente strumentale, qualcuno ha tentato di dare qualche risposta, risposte che sono sembrate più che altro “giustificative” di un modus operandi che non ha eguali (e ci mancherebbe) in Europa e che pone l’accento sul fatto che per esercitare un diritto bisogna andare a cercarsi anche chi quel diritto te lo fa esercitare, un concetto della libertà piuttosto arrogante per non dire paradossale.

Quello che colpisce è la assoluta ignoranza da parte degli Operatori Sanitari, che dovrebbero invece essere i primi a conoscere la legge e la sua logica normativa, per cui la 194 altro non è che la legge che garantisce alla donna il diritto all’aborto, in realtà la 194 già dal titolo dovrebbe far comprendere che non è così semplicistico, anzi, non caso il titolo della legge recita “TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITA’ E DELL’INTERRUZIONE DELLA GRAVIDANZA”.

Riprendendo le parole del Movimento Usciamo dal Silenzio, la 194 non è libertà  di abortire ma responsabilità condivisa del generare. Questa affermazione dovrebbe di suo già far comprendere come il percorso dell’interruzione di gravidanza è un percorso di sofferenza, spesso portato avanti in solitudine senza i necessari appoggi che contribuirebbero a dare alla donna, ed anche all’uomo, la possibilità di giungere ad una scelta chiara e consapevole. L’aborto non è ne un metodo contraccettivo ne un metodo per il controllo delle nascite, sebbene nel passato più o meno remoto questo è l’utilizzo che ne è stato fatto.

Lo stato precario di salute della 194 non lo si scopre oggi, come non sono una novità i dati sull’obiezione di coscienza da parte delle equipe medico-sanitarie (non facciamo finta di nulla, anche nella nostra classe professionale i numeri sono piuttosto eclatanti) ma da alcuni anni vari Movimenti provano a chiedere risposte nei confronti di una legge che rimane inapplicata nella sua struttura complessiva e si limita a parlarne solo per quanto riguarda l’aborto.

Non a caso la stessa legge all’art. 2 parla dei Consultori che dovrebbero avere fondamentali responsabilità nel percorso che la donna affronta in caso di gravidanza, ed all’art. 5 appare ancora più chiaro il suo ruolo sociale e sanitario

“Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito,

le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”, da sottolineare le righe evidenziate.

In quelle righe c’è tutto la volontà della 194 a non essere semplicemente una legge “abortiva” ma risponde al titolo della Tutela della donna, del nascituro e anche del padre del concepito, qualora si dimentichi che in questo percorso l’uomo ha una sua ben chiara responsabilità, sebbene si lasci alla donna la possibilità di non coinvolgere il presunto padre.

Qui si aprirebbe un altro importante capitolo di riflessione,  dove appare evidente che esiste una forte dicotomia della visione delle responsabilità essendo la gravidanza un evento che impegna un corpo, che vive in un corpo e non è il corpo dell’uomo.

Scorrendo la legge si giunge all’annoso problema dell’obiezione di coscienza. Specificatamente all’art. 9 si parla su come esercitarla ed i limiti, infatti la legge è chiara “L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”, sarebbe interessante conoscere i dati degli ospedali “100%” e del comportamento del personale medico sanitario in tal senso.

Utile ricordare che è compito delle Regioni controllare e garantire l’applicazione della legge, anche attraverso la mobilità del personale. Pur non essendo un giurista, interessante sarebbe una valutazione del noto giurista Luca Benci, questo comma stabilisce che non dovrebbe essere consentito avere U.O. con il 100% degli operatori obiettori di coscienza.

Stupisce come i dati sull’Interruzione di gravidanza dal 1980  al 2012 dimostrano come il ricorrere alla pratica abortiva sia stata sempre in continua discesa, il ricorso all’IVG è sceso del 40% (cfr.articolo neodemos, 2013) e questo dato è confermato dalla relazione del Ministero della Salute del 2012.

Nel 2010, per esempio, il tasso di abortività è stato pari a 4,5 per 1000 mentre il rapporto di abortività (numero delle IVG per 1.000 nati vivi) è risultato pari a 202,5 per 1.000 con un decremento del 2,8% rispetto al 2010 (208,3 per 1.000) e un decremento del 46,7% rispetto al 1982 (380,2 per 1.000).

Rimane il dato dell’obiezione a preoccupare, come preoccupano le politiche di svuotamento della funzione dei consultori che dovrebbero avere invece una prima e fondamentale funzione per poter aiutare la donna nel suo percorso e nelle sue scelte.

Indubbiamente stiamo scivolando su un crinale pericoloso, che rischia di riportarci indietro nel tempo, dove l’aborto era clandestino e la morte della gravida era una possibilità per nulla remota.

Il fatto che questo periodo storico assomigli sempre più ad un passato oscurantismo che l’Europa ha già vissuto, non significa che non sia possibile portare avanti una battaglia giusta nel chiedere l’applicazione reale della legge, in tutte le sue articolazioni.

La postilla finale sarebbe quella di chiederne un aggiornamento, non tanto per eliminare le parole “personale ausiliario” ma per dare maggior risalto al fatto che il valore sociale dell’infermiere potrebbe essere uno dei punti di svolta per vederne una corretta applicazione: penso all’Infermiere di Famiglia, questo ruolo sottovalutato ma che potrebbe diventare socialmente rilevante anche in questo ambito complesso, al centro di polemiche aspre e dove francamente l’etica e la coscienza non c’entrano nulla.

Piero Caramello

Redazione Nurse Times

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