La psichiatrizzazione di una norma: storia di un pover’uomo

“Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.” (Nietzsche)

Quella volta che ci guardammo a lungo dentro, ma non vi scovammo niente

Che la psichiatria fosse un calderone arrugginito, ribollente di svariati aspetti dell’animo umano è da tempo risaputo. Un mondo “di mezzo” in cui si sono da sempre ritrovati combacianti comportamenti ed etichettature, capri espiatori di non-nessi causali, forzatamente reclusi in recinti oramai stracolmi di “normalità”.

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I tentativi quasi lombrosiani di stigmatizzare a tutto spiano non sono mai terminati e si diffondono al giorno d’oggi alla stregua di “comfort-food”, dove si cerca di dar pace alla coscienza che vede la follia ovunque. Al criminale la si affibbia per l’attenuazione o l’incolpevolezza, nell’esuberanza di scelte di vita e grida fuori dal coro. La si richiama per non costringerci a elaborare una personale scelta che suonerebbe pesante e ci spoglierebbe di una falsa ideologia. Ci si ciba, infatti, di non-cultura umana, tutti pronti a dare soluzioni non richieste, a scavare senza scrupoli per risollevare le sorti del mondo, a sparare alle mosche con i cannoni.

Fu così che un medico di famiglia, un bel giorno, ma anche con sforzo, non rinunciando alla calura di questo periodo, inviò con una bella ricetta rossa scintillante un povero uomo 70enne presso un centro di salute mentale, per essere sottoposto ad “approfondimento”.

All’arrivo al centro, senza neanche tanta lista d’attesa, la prassi è la stessa, compilazione di scheda di primo contatto, con tanto di anagrafica e consenso, con immancabile “schedatura” nel sistema ministeriale. Sala d’attesa, e la luce negli occhi dell’uomo forse scintillò di suo, tanta era la contentezza visto per l’avvicinarsi, forse, della risoluzione dei suoi strazianti problemi. Forse… Finalmente qualcuno lo avrebbe ascoltato e trasformato in paladino a sua difesa, e difeso senza scrupoli da un male interminabile.

Così non poteva continuare, forse… Si doveva sfogare, confidando a uno specialista il suo male di vivere. Il medico curante era stato lungimirante, forse… E poi non si sa mai cosa sarebbe potuto accadere a permettersi di trascurare questa terribile situazione. Forse, e sottolineo forse.

E finalmente: “Come ti senti?”, disse la psichiatra. “Bene”, rispose l’ormai paziente. “Cosa mi vuoi dire?”. E di rimando: “Niente!”. E il medico: “Hai qualche problema?”. “No!”.

Allora, pensando a problemi di deterioramento cognitivo, forse, il sanitario provò a fare le solite domande su orientamento, memoria, ecc. Ma invano, tutto perfetto. La dottoressa chiese ancora: “Ma dormi bene? Com’è il sonno?”. Ma, dalla risposta del piccolo uomo, sembrava andasse ogni notte a braccetto con Morfeo.

E ancora, incalzandolo: “Il tuo medico curante ti ha mandato qui da noi. Ma per cosa?”. La piccola mente del piccolo uomo comprese in quel momento che un cambiamento stava per avvenire, una rivoluzione del linguaggio tanto ardita. Era quella la strada giusta. Un attimo ancora e, forse, avrebbero capito. Quindi disse: “Non lo so perché sono stato mandato qui!”.

La psichiatra e la psicologa si guardarono incerte. E con cauta speranza tentarono di addentrarsi ancora una volta  nei menandri, forse

oscuri della malattia. Si azzardarono, in pratica, a guardare nell’abisso. “Dove abiti?”, gli chiesero. “In via (omissis)”. E ancora: “Dove c’è il Gruppo dei medici associati!”. E lui: “Sì, proprio lì”. L’uomo si rilassò. In realtà, non cambiò molto l’aspetto del suo volto, tanto era fiducioso.

“Ma che problemi ci sono?”. E il momento arrivò. Fu così che vomitò addosso ai sanitari tutto l’orrore e il male che aveva recluso da tempo. Finì il momento dei…forse. Forse

“Ma… veramente io… non trovo mai parcheggio sul mio passo carrabile quando arrivo da campagna con il mio Ape. Mi sono lamentato spesso. Ho segnalato tante volte ai vigili urbani la situazione, ma loro non fanno mai niente!”.

Poi l’abisso abisso si chiude. Va via. L’indagine, a tal punto, è d’obbligo. La dottoressa chiama il medico di famiglia, l’inviante, per chiedere spiegazioni. E come risposta: “Sì, in pratica io non vedevo problemi particolari, ma la gente (forse… la società moderna), mi diceva che sbraitava sempre per i parcheggi”.

Un’altra notizia avuta per puro caso fu quella che il giustificato, deprecabile zelo del medico, più familiare che di famiglia, inviò il nostro ormai affezionato omino anche presso il Distretto socio-sanitario, cercando invano di districare la grossa matassa, scomodando perfino il neurologo.

Tornando a noi, penso che gridare “al lupo al lupo”, al giorno d’oggi, non risolva di certo i problemi seri. Sì, i mostri sono ovunque, ma nascosti nel perbenismo imbiancato, pronti a saltarci addosso quando meno ce lo aspettiamo. A volte li generiamo noi stessi, a difesa di falsi ideali professionali, facendo di tutto per stereotipare la cultura dell’uomo, più che altro la cultura dell’umanità come virtù, per cui la desideriamo scevra da sentimenti coloriti come espressione molto spesso di puro, semplice e innocuo stato d’animo.

Il gridare alla pazzia, indicando il mostro (nel nostro caso, un piccolo e insignificante mostro), contraddistingue e stigmatizza a forza proprio questa società. E tale marchio se lo va a cercare da sè, sprecando preziose risorse per arginare un male inesistente, alzando barricate inutili.

I problemi in sanità sono innumerevoli, nella cesta degli errori c’è di tutto. E ogni frutto marcio porta un’etichetta indelebile, indicando il nome del suo produttore. Il personale dedicato alle cure è esiguo, è molto più folta la macchina burocratica. I reparti chiudono. I macchinari diagnostici sono insufficienti e vetusti. Le liste d’attesa interminabili. Pratichiamo molto più il turismo per cure che quello estivo. Occorre, quindi, un esame di coscienza! Ma soprattutto attenzione nel parcheggiare davanti al passo carrabile altrui… Proprio per non generare mostri inesistenti.

A parte la triste e marcata ironia, utile come scossa provocatoria, mi sento di dedicare questo articolo alla memoria del maestro “più alto del mondo”, come lo definivano i suoi alunni: Franco Mastrogiovanni, deceduto in regime di Tso nel reparto di Psichiatria di Vallo della Lucania il 4 agosto 2009.

Gianni Trianni

 

Redazione Nurse Times

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