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L’assistenza infermieristica alla persona anziana con insufficienza d’organo end stage

L’assistenza infermieristica alla persona anziana con insufficienza d’organo end stage. Studio pilota della pratica clinico-assistenziale ospedaliera

L’assistenza infermieristica alla persona anziana con insufficienza d’organo end stage. Studio pilota della pratica clinico-assistenziale ospedaliera

INTRODUZIONE
Le malattie croniche e degenerative in ambito geriatrico sono un argomento di grande attualità nel panorama socio-economico e medico-sanitario, perché il fenomeno di invecchiamento demografico comporta parallelamente l’incremento della prevalenza di insufficienze d’organo, singole o multiple.
Quando la patologia cronica-degenerativa raggiunge la fase terminale, significa indicativamente che la persona vivrà al massimo 6 mesi, nell’ipotesi che la malattia abbia un decorso clinico normale. Si tratta però di un criterio arbitrario e approssimativo, poiché vi sono numerose variabili nello stabilire la durata di vita residua di una persona con malattia di interesse internistico di stadio più che avanzato, soprattutto se anziana.
In questo delicato momento della storia clinica della malattia, il team di cura è portato a ponderare il giusto approccio terapeutico, considerando che le cure intensive e invasive sono efficaci finché arrecano un miglioramento clinico e della qualità di vita della persona, ma quando questi obiettivi non sono più ragionevolmente raggiungibili è opportuno orientarsi verso un approccio palliativo, ovvero di conforto e di accompagnamento alla morte. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1990 ha definito le cure palliative come “un approccio che migliora la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo dalla sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicofisica e spirituale”. Questo fondamentale concetto è stato ripreso nella normativa italiana con la Legge 38/10, in cui si afferma che “per le persone affette da patologie ad andamento cronico ed evolutivo, per cui non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o risultano inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita, è indicato l’accesso alle cure palliative”.
Per attuare precocemente le cure palliative, è tanto importante quanto complessa la formulazione della prognosi infausta a breve termine. A questo proposito, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) in un documento del 2012 ha elaborato dei criteri clinici utili per inquadrare la fase terminale delle insufficienze d’organo più diffuse e indirizzare di conseguenza verso un approccio terapeutico appropriato. Questi parametri sono stati estrapolati sia dall’esperienza clinica comune, sia dalle più aggiornate evidenze scientifiche e rappresentano uno strumento valido per la pratica clinico-assistenziale.

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Per l’infermiere che si trova quotidianamente ad assistere un utente così complesso, non è sufficiente però conoscere l’aspetto clinico e tecnico, ovvero il “saper fare”, ma è fondamentale anche un orientamento di carattere bioetico e di condotta, che è il “saper essere” della professione infermieristica.

Alcuni riferimenti al riguardo provengono dal Codice Deontologico dell’infermiere del 2009, che dedica sei articoli al tema del fine vita:

art. 6: “L’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione”

art. 35: “L’infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita dell’assistito, riconoscendo l’importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale”

art . 36: “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita”

art . 37: “L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato”

art . 38: “L’infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall’assistito”

art . 39: “L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto”

BACKGROUND
Prima di elaborare il lavoro di ricerca, è stata effettuata una revisione della letteratura sulle cure di fine vita rivolte alla persona anziana con patologia end stage non oncologica. Ciò che è emerso suggerisce che attualmente le cure palliative non sono ancora una consuetudine in questo campo. A tale proposito, la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) e la Federazione di Cure Palliative (FCP) hanno stimato che una rete di cure palliative (RCP) assiste ogni anno meno del 20% degli utenti potenziali e di questi meno dell’1% è affetto da malattia non neoplastica. Ciò può essere legato a un insieme di problematicità nella prassi clinico-assistenziale dovute a fattori tra loro concatenati, quali la mancanza di indicazioni pratiche per la diagnosi di morte a breve termine, la mancanza di definizioni sull’appropriatezza clinica dei percorsi di cura, tendenze da parte del team curante come difficoltà nella comunicazione con il paziente e i familiari e la resistenza ad adoperare farmaci oppioidi e sedativi per il controllo del dolore.
Al momento dello studio, l’assenza di una legislazione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) e sull’utilizzo di terapie sostitutive come la nutrizione artificiale rappresentava un aspetto estremamente limitante per l’attuazione delle cure palliative rivolte alla persona anziana affetta da malattia cronica-degenerativa in fase avanzata-terminale; è auspicabile che l’approvazione del disegno di legge sul biotestamento avvenuta il 14 dicembre 2017 possa agevolare l’attuazione di misure di conforto che riducano il disagio e il dolore di questi pazienti, al fine di rendere dignitosa l’esperienza del fine vita.

MATERIALI E METODI
La domanda di ricerca che ha guidato lo studio pilota è: “Esiste nelle U.O. afferenti ai Dipartimenti medico e medico-specialistico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara un’assistenza specifica nella fase avanzata-terminale della malattia per pazienti geriatrici con insufficienza d’organo?”
A questo scopo, dopo aver dato notifica dello studio al Comitato Etico provinciale e aver ottenuto il consenso della Direzione delle Professioni dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, è stato distribuito un questionario sul tema dell’anziano e il fine vita agli infermieri e alle infermiere che lavorano nei reparti selezionati da almeno 1 anno; il questionario è stato formulato dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) nell’ambito di uno studio a livello nazionale e l’impiego nel lavoro di ricerca è stato concordato con i membri del Gruppo di Studio.
Il tempo di compilazione previsto è stato 3 settimane, al termine delle quali il tasso di risposta ottenuto ha raggiunto il 62,3%, corrispondente a 58 questionari compilati su 93 distribuiti in totale.

RISULTATI E DISCUSSIONE
Attraverso le domande proposte è stato possibile indagare sia l’aspetto tecnico -pratico che l’aspetto psicologico-relazionale dell’assistenza infermieristica.
Per quanto riguarda il rapporto infermiere-paziente anziano terminale, le priorità assistenziali più segnalate risultano tutte legate al concetto di dignità della persona e sono il sollievo dal dolore e dagli altri sintomi, la cura della dignità e dell’assistenza alla persona e il rispetto delle volontà dell’assistito. Proprio il rispetto si è rivelata la reazione più frequente dei professionisti nei confronti dell’anziano morente. La preparazione professionale per affrontare la morte dei pazienti per la prevalenza degli intervistati sarebbe sufficiente oppure buona.
Il ruolo della famiglia secondo gli infermieri pare determinante nelle scelte di fine vita del paziente geriatrico, in particolare rispetto alla pratica o al prolungamento di cure ritenute inutili dal professionista, alla richiesta di aiuto a morire per il congiunto e alle decisioni di fine vita sia nel caso in cui il paziente sia competente, sia nel caso in cui non lo sia.
Relativamente alla prassi assistenziale, la maggior parte degli intervistati ha affermato che esistono criteri validi per inquadrare un paziente non oncologico terminale e che spesso è possibile riconoscere il momento del decorso clinico di una malattia in cui applicare i principi della desistenza terapeutica. Ciononostante, solo il 55% degli infermieri intervistati sostiene che esistono le cure palliative nella propria realtà e secondo circa la metà di essi queste non sarebbero idonee ai bisogni. Nell’ultimo mese di vita, infatti, verrebbero attuati da spesso a sempre interventi come la terapia antibiotica in caso di infezione, la cura di lesioni da pressione, nutrizione e idratazione artificiali. Per quanto concerne il trattamento del dolore nell’ultimo mese di vita, è lecito supporre che esso non sia adeguato a rendere il paziente anziano terminale libero dal dolore: il paracetamolo è stato indicato come farmaco analgesico più usato; i pazienti in terapia antalgica continuativa sarebbero per la maggior parte degli infermieri solo la metà; la sedazione palliativa risulta essere attuata piuttosto raramente.

CONCLUSIONI E PROPOSTE
Esaminando le risposte ai questionari, la realtà osservata pare rispecchiare i risultati della revisione della letteratura, confermando che la gestione terapeutica del fine vita dell’anziano end stage aderisce più a un approccio intensivo-invasivo, che non a un approccio palliativo e di conforto.
Approfondendo l’analisi, si riscontra un netto divario tra la percezione dei bisogni del paziente da parte del personale infermieristico e la pratica clinico-assistenziale effettivamente erogata: gli infermieri sono consapevoli delle necessità cliniche, psicologiche e relazionali degli utenti, ma incontrano grandi difficoltà che impediscono di esaudirle. Questa incongruenza può suggerire la necessità di adeguare l’organizzazione ospedaliera verso l’accoglienza del paziente geriatrico non oncologico terminale e di garantire più approfondimenti, riferimenti pratici e confronto interdisciplinare e interprofessionale.
Ciò che può apparire a colpo d’occhio se si pensa alla presa in carico dell’anziano end stage è probabilmente il paradosso su cui si basa il lavoro dell’infermiere, cioè curare una persona che certamente non può guarire, per di più anziana. Ma “curare” significa sempre ‘‘guarire”? Se la risposta è sì, di sicuro assistere questo paziente si dimostra frustrante e vano; se invece “curare” non si intende come to cure ma come to care, ciò  significa garantire la qualità e la dignità di vita della persona, indipendentemente dalla sua aspettativa di vita.
La guarigione dalla malattia non sempre è possibile e credo che questa sia una verità da riconoscere e accettare, ma anche in questo caso l’infermiere ha ancora molto da dare e altrettanto da ricevere. Allora non esiste alcuna contraddizione, perché la qualità di vita è sempre perseguibile e deve essere sempre perseguita, più che mai con l’approssimarsi della morte. L’unico strumento fondamentale è l’umanità.
L’impegno della medicina e dell’infermieristica nella terminalità sta nel coniugare scienza e umanità, rispettivamente il “saper fare” e il “saper essere” dell’infermiere: senza rinunciare alle risorse della tecnologia e della farmacologia quando sono opportune, è indispensabile assicurare la qualità umana ai gesti di cura, fino
al termine dell’esistenza.

Laura Capitanio

Redazione Nurse Times

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