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Legge 833/78: quale eredità per noi infermieri?

Vorrei richiamare l'attenzione su un concetto in particolare, fondamentale, spesso ignorato: la tutela della salute.

La legge 833 del 23/12/1978 sancisce la nascita del Sistema Sanitario Nazionale: si instaura così il passaggio da un modello sanitario prettamente mutualistico (che copriva le spese sanitarie dei propri contribuenti su base forfettaria o a prestazione), al modello sanitario di cui oggi disponiamo, basato su principi di universalità, accessibilità ed equità

I principi ispiratori di questa legge traggono le proprie origini direttamente dall’art. 32 della Costituzione, tanto è vero che l’art.1 della 833/78 recita:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il S.S.N. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il S.S.N. è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali e sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione del S.S.N. compete allo Stato, alle regioni ed agli enti territoriali garantendo la partecipazione dei cittadini. Nel S.S.N. è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività. Le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del S.S.N. nei modi e nelle forme stabiliti dalla presente legge”.

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Vorrei richiamare l’attenzione su un concetto in particolare, fondamentale, spesso ignorato: la tutela della salute.

La legge parla di tutela della salute, andando ad intendere quel complesso integrato di prestazioni che vedono al primo posto gli interventi di prevenzione e non soltanto gli interventi di cura. Si apre dunque, con la Prima Riforma Sanitaria, lo scenario ad una nuova filosofia, che non vede più la sanità impegnata esclusivamente in processi curativi contro la malattia (in un ruolo cardine di “assicurazione contro la malattia”, così come accadeva con le società mutualistiche), ma vede la sanità come mezzo fondamentale attraverso il quale poter tutelare la salute.

Tale intenzione viene rimarcata ed ulteriormente rafforzata con l’art.2 della suddetta legge, che annovera, tra gli strumenti con cui tutelare la salute:

  • la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria;
  • la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e lavoro;
  • la diagnosi e la cura degli eventi morbosi;
  • la riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità somatica e psichica.

Con questa riforma, dunque, viene perseguito l’obiettivo di riportare al centro del sistema il cittadino; a tale scopo viene configurata un’articolazione a tre livelli dell’erogazione delle prestazioni sanitarie:

  1. Primo livello: costituito dall’assistenza sanitaria di base, per rispondere ai bisogni più urgenti e frequenti della popolazione;
  2. Secondo livello: che risponde alle esigenze di patologie più complesse attraverso una rete di poliambulatori specialistici;
  3. Terzo livello: costituito dagli ospedali, per il trattamento delle emergenze acute medico-chirurgiche, per la diagnostica complessa, per la specialistica ad alto livello.

Altri elementi portanti della Riforma sono costituiti dalla programmazione e dalla pianificazione: viene riconosciuta l’esigenza di darsi degli obiettivi in relazione alle risorse disponibili. Ogni intervento sanitario, da questo momento in poi, deve essere programmato coerentemente con gli obiettivi che si intende raggiungere, ordinando gli interventi secondo una scala di priorità.
Altro elemento di novità introdotto dalla legge 833 è il concetto di partecipazione, che possiamo definire “figlio” del contesto politico. E’ un concetto importante, e se vogliamo “rivoluzionario”, in quanto si segnala la possibilità e la volontà di rendere i cittadini partecipi delle linee di governo tracciate su quel che riguarda la loro salute.

Dopo questo breve excursus storico e chiarificativo riguardo la legge 833/78 ed il suo razionale, espongo le mie considerazioni a riguardo.

La legge 833 rappresenta la “mamma” del nostro S.S.N., ad essa dobbiamo la nascita della sanità così come la conosciamo oggi.

Possiamo definire questa legge come profondamente all’avanguardia per il tempo in cui è stata promulgata: quarant’anni fa c’era già una considerazione di sanità pubblica ben chiara e moderna, dove il ruolo cardine della sanità virava dalla “cura” al “prendersi cura”. La medicina non doveva più essere la scienza cui rivolgersi esclusivamente in caso di malattia, ma doveva anche e soprattutto rappresentare la soluzione preventiva all’insorgenza dei processi morbosi, mettendo al centro il benessere (da preservare) del cittadino/paziente.

Noi, in quanto infermieri, siamo tenuti a farci carico di questa responsabilità: lo sancisce il nostro profilo professionale ed il nostro codice deontologico, che recita, all’articolo 19:

“L’infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l’educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.”

La riflessione che è nata spontaneamente nella mia mente, e che vorrei condividere con voi, è la seguente: perché siamo ignari del peso, scritto e sottoscritto, sancito dalla legge, dal nostro profilo e C.D., che abbiamo all’interno del SSN? Considerando ovviamente le dovute contestualizzazioni storiche del caso, altresì considerando le successive Riforme Sanitarie del 1992 e del 1999, perché, dopo quarant’anni, non siamo riusciti ad affermarci nel campo che ci spetta di diritto, e continuiamo a rimanere passivi, relegati ad un ruolo di pericolosa e frustrante sudditanza (talvolta velata, talvolta no)?

La legge 739/94 determina la nascita del nostro profilo professionale, la legge 42/99 determina il passaggio da professione sanitaria ausiliaria a professione sanitaria: viene eliminato il mansionario, la nostra professione acquista carattere intellettuale, e viene di conseguenza riconosciuta l’esistenza di un campo d’intervento prettamente infermieristico di cui ne siamo i responsabili… ed è qui, colleghi, che si colloca il nostro agire esclusivo ed escludente, peculiare dei nostri studi e del nostro intervento.
Quarant’anni fa, la medicina preventiva veniva considerata come l’avanguardia, l’intero fulcro e matrice prima su cui basare il Sistema Sanitario Nazionale. Ad oggi, possiamo definire il campo della prevenzione, campo pressoché inesplorato: chi si occupa realmente di prevenzione, in Italia? Chi si occupa di fornire un’adeguata educazione sanitaria ai cittadini?

Ritengo che questo ambito, ancora poco esplorato ed approfondito nel nostro Paese, potrebbe e dovrebbe essere il nostro cavallo di battaglia, il nostro ruolo principale in veste di INFERMIERI.
La legge dispone l’importanza della prevenzione da ben quarant’anni, ed il nostro profilo professionale e C.D. ci vedono protagonisti nel processo del “to care”, allora spetta a noi cogliere il messaggio e farlo nostro, attuare quanto la legge ci permette di fare, identificare finalmente la natura del nostro intervento: incisiva, unica, esclusiva ed escludente.

La prevenzione è campo inesplorato, poco considerato nel corso degli anni per “mancanza di fondi”, eppure rappresenta il cuore della nostra professione, ed è la direzione da perseguire per acquistare, finalmente, il tanto agognato riconoscimento sociale. Possiamo diventare fautori di quello che è nuovo concetto di assistenza, un nuovo concetto di salute: possiamo diventare i protagonisti che non solo investono sulla salute, ma che “creano” salute. Abbiamo l’obbligo ed il dovere morale e deontologico di identificarci ed immergerci nel nostro ruolo, essere Infermieri nel senso vero del termine, assumerci le nostre responsabilità, mettere in atto le nostre conoscenze e non avere paura di farlo.

Il ruolo dell’infermiere, ad oggi, è relegato a puro tecnicismo, e troppe volte non riusciamo a scrollarci di dosso tutti i pregiudizi che ci vedono come esclusiva manovalanza, come appendice del medico, come lavoratori di basso livello, laureati di serie B. I cosiddetti “operai della sanità”.

Voglio concludere la mia riflessione dicendo che abbiamo tanto potenziale tra le mani, che però, spesso, disconosciamo: questo perché all’università i corsi sono maggiormente improntati da un punto di vista medico, e poco da un punto di vista infermieristico; non conosciamo le nostre reali ed enormi potenzialità, restiamo relegati ad un ruolo ormai anacronistico, che non ci vede protagonisti, ma ancora, troppo spesso, meri esecutori.
La legge è dalla nostra parte, si è evoluta con il tempo, e dipende da noi riconoscere, pretendere, ottenere quanto disposto.
Solamente lo studio e la conoscenza sono i propulsori che possono portare la nostra professione in alto.

“Iura vigilantibus non dormientibus succurrunt.”
“La legge aiuta coloro che sono svegli, non i dormienti.”

 

Martina Crocilla

 

Redazione Nurse Times

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