La mononucleosi è una malattia di origine virale, acuta e contagiosa, definita anche “malattia del bacio”. L’infezione, infatti, si trasmette abitualmente attraverso la saliva. È una malattia molto nota, anche per la frequenza con cui si manifesta negli adolescenti. Meno spesso, invece, la malattia viene contratta in seguito alla condivisone di utensili, come posate o bicchieri.
La mononucleosi è determinata dal virus di Epstein-Barr, l’agente virale appartenente alla famiglia degli herpes virus. Come caratteristica di questi ultimi, il virus EBV rimane per sempre latente nell’organismo, ricomparendo periodicamente.
La mononucleosi è una patologia diffusa in tutto il mondo, con particolare interesse nella fascia d’età che va dai 15 ai 35 anni. Nonostante queste stime, però, gli adulti non ne sono del tutto esenti. Circa il 90% della popolazione, nel corso della propria vita, è entrata in contatto col virus EBV, non accusando mai alcun segno di infezione in quanto ha sviluppato gli anticorpi specifici. Il periodo di incubazione è piuttosto lungo, variabilmente dai 30 ai 50 giorni. Nei bambini (i quali però presentano la mononucleosi in una forma pressoché prima di sintomi) questo periodo è pari a 10-15 giorni.
Il contagio può essere diretto (nella maggior parte dei casi) e avvenire tramite saliva, i rapporti sessuali non protetti o le trasfusioni di sangue ed emoderivati. Inoltre la malattia può essere trasmessa con modalità indirette, come l’utilizzo condiviso di oggetti contaminati (posate, bicchieri, piatti), nonché mediante le goccioline di flugge.
Si assiste inoltre alla comparsa di un numero rilevante di cellule linfocitarie atipiche nel sangue. In rasi casi si manifesta anche sofferenza epatica, con l’aumento delle transaminasi. A volte può comparire lieve ittero.
A contagio avvenuto, la malattia si manifesta per un periodo compreso tra le 3 e le 6 settimane successive, dopo le quali il soggetto torna a riprendere le normali attività quotidiane. Quando il paziente guarisce l’infezione rimane latente e può ripresentarsi periodicamente, ad esempio se il soggetto ha le difese immunitarie basse, dando luogo alla cosiddetta “sindrome da fatica cronica”. In tal caso il soggetto presenta uno stato di debilitazione generale e spossatezza, che può protrarsi anche per diversi mesi.
Le complicanze della mononucleosi sono rare e possono essere di natura ematologia (anemia e piastrinopenia) e aneurologiche (convulsioni, alterazioni comportamentali, encefaliti e meningiti). Non è da escludere il coinvolgimento di cuore e polmoni.
La diagnosi di mononucleosi è sospettata in presenza del contemporaneo manifestarsi dei sintomi caratterizzanti prima specificati. Tuttavia questo genere di sintomatologia si manifesta anche nel corso di altre malattie infettive, come l’epatite virale, la malattia citomegalovirus, la toxoplasmosi, la rosolia. Dunque è possibile una diagnosi certa soltanto mediante la constatazione della presenza di linfociti caratteristici nel sangue (linfocitosi), associata a test anticorpali e riscontri sierologici.
Nella maggior parte dei casi la mononucleosi si risolve spontaneamente entro 2 o 3 settimane dalla comparsa dei sintomi. Il paziente dovrebbe riposare a letto ed evitare sforzi per almeno 6-8 settimane, specialmente se si è sviluppato un ingrossamento della milza. La rottura di questo organo, per quanto rara, è una complicanza temibile e grave.
Per quanto riguarda il trattamento della mononucleosi, non esistono terapie mirate, ma solo sintomatiche. Dunque si procede con la somministrazione di analgesici e antipiretici (va evitato l’uso di acido acetilsalicilico, in quanto nei bambini e negli adolescenti può portare alla comparsa di una complicanza nota come Sindrome di Reye). Nei casi più gravi è previsto il ricorso a farmaci corticosteroidei per gestire gravi complicanze, come gli edemi delle vie aeree.
Se tutti questi trattamenti dovessero dimostrarsi inefficaci, si può ricorrere all’utilizzo delle IgG. È fondamentale non ricorrere mai agli antibiotici: in caso di malattia virale, oltre a essere del tutto inutili, possono aggravare il quadro clinico e contribuire alla antibiotico-resistenza. Quando i principali sintomi tendono ad affievolirsi o sparire, la persona non è più considerata contagiosa.
Il Monotest è un esame utile come supporto per l’accertamento (diagnosi) della mononucleosi, una malattia infettiva causata dal virus Epstein-Barr (EBV), appartenente alla famiglia degli herpesvirus.
Il test rileva una specifica classe di anticorpi IgM (anticorpi eterofili), è rapido (5-10 minuti) ed economico. Sebbene sia considerato un test molto specifico, la sua sensibilità può dare dei risultati falsi negativi, in particolare nei bambini di età inferiore ai quattro anni. A causa di questa bassa sensibilità, la ricerca degli anticorpi EBV-specifici rimane la scelta migliore nella diagnosi della mononucleosi.
Il monotest può essere prescritto dal medico in presenza di segni e disturbi (sintomi) riconducibili a mononucleosi infettiva.
I disturbi più comuni includono:
In alcuni casi possono verificarsi anche:
Il monotest è un esame molto semplice che non ha controindicazioni e può essere eseguito sul sangue prelevato da una vena del braccio o da un polpastrello, sul siero o sul plasma.
Non è necessario essere a digiuno e dopo il prelievo si può immediatamente tornare a svolgere le normali attività quotidiane.
Anche se l’assunzione di farmaci non influisce sull’esito dell’esame, è comunque bene informare il medico nel caso in cui si stia seguendo una terapia farmacologica.
Il monotest positivo è associato a disturbi tipici della mononucleosi infettiva, è indicativo dell’infezione.
Il monotest a volte può risultare positivo anche in caso di altre patologie come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), l’artrite reumatoide, la rosolia, le epatiti virali, e per questo si devono considerare i disturbi (sintomi) ed eventuali altri esami di conferma. Se il monotest risulta negativo pur essendo associato ai segni tipici della mononucleosi, la malattia non può essere esclusa: potrebbe trattarsi di un falso negativo o potrebbe essere ancora presto per individuare la presenza di anticorpi eterofili. In questi casi è opportuno eseguire indagini di laboratorio più approfondite
Martina Crocilla
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