“Non lasciate morire Tafida”. Il Gaslini di Genova disposto ad accogliere la bimba inglese

Per i medici di Londra non c’è speranza di salvarla. I genitori chiedono di poterla curare all’estero.

Per i medici del Royal London Hospital non c’è alcuna speranza di guarigione. Il portavoce dell’ospedale ha pronunciato queste parole: «È un caso molto triste. Ulteriori trattamenti invasivi sarebbero inutili». Non sono parole accettabili per i genitori di Tafida Raqeeb, cinque anni, ricoverata dal 9 febbraio scorso dopo una emorragia cerebrale. Quel giorno si era alzata con un forte mal di testa ed era crollata improvvisamente a terra. Gli esami hanno evidenziato una malformazione congenita artero-venosa, che provoca un groviglio inestricabile di vasi sanguigni. Da allora la bimba è in coma.

È stata trasferita in due ospedali diversi ed è stata sottoposta a un intervento chirurgico, prima di arrivare al Royal London Hospital. Ora quelle parole pronunciate dai medici sono il preludio alla decisione di spegnere le macchine che la tengono in vita: «Faremo tutto nel miglior interesse della bambina, raccomandando la sospensione del trattamento e l’avvio di cure palliative». Ma è proprio questo che i genitori non vogliono accettare. Shelina Begum e suo marito Mohammed sostengono di avere altri pareri medici, secondo i quali loro figlia potrebbe migliorare.

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Hanno chiesto aiuto all’ospedale Gaslini di Genova. E ieri la loro domanda è stata accolta. Ecco la nota ufficiale che riassume la situazione: “II Gaslini ha composto un collegio tecnico di specialista, che ha inviato il 5 luglio un documento ai colleghi di Londra, con i quali successivamente si è anche svolta una videoconferenza collegiale. I documenti evidenziano l’estrema gravità delle condizioni cliniche, ma anche il fatto che in Italia non si opera una sospensione delle cure, se non in caso di morte cerebrale, quadro diverso da quello di Tafida”.

In Italia, dunque, non verrebbero spente le macchine che la tengono in vita. Almeno non in questo momento, date le attuali condizioni cliniche e lo stato definito di “semi-incoscienza”. I genitori di Tafida hanno immediatamente scritto una lettera al direttore del Gaslini, Paolo Petralia

, spiegando che sono pronti a trasportare la bambina a loro spese. Il direttore ha risposto così: «In linea con la missione dell’ospedale, siamo pronti a prenderci cura di Tafida non appena le autorità britanniche consentiranno il suo trasferimento». Proprio questo è il punto: dovrà essere un giudice a pronunciarsi. Così prevede il sistema legislativo inglese: quando il minore ha bisogno di una decisione che riguarda il fine vita e il suo trasferimento in altro Stato viene sospesa la patria potestà.

I genitori di Tafiqa hanno presentato un’istanza alla Royal Courts of Justice di Londra per chiedere l’autorizzazione al trasferimento in Italia. L’Alta corte ha rinviato la decisione a lunedì 22 luglio. Fino ad allora la bimba sarà tenuta in vita. È una storia tragica che ricalca il caso di Charlie Gard, il bambino di Londra nato con la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale, una rara malattia genetica che causa danni cerebrali progressivi e insufficienza muscolare. I suoi genitori volevano portarlo negli Stati Uniti, oppure a Roma. Avevano raccolto molti fondi con una sottoscrizione pubblica. Ma in quel caso il giudice negò il trasferimento e alla fine anche la Corte europea dei diritti dell’uomo – era l’estate del 2017 – respinse l’ultimo appello dei genitori.

Lunedì sarà esaminato il caso di Tafida Raqeeb. Sua madre, avvocato, ha rilasciato delle dichiarazioni al giornale Daily Mail: «Siamo in una situazione disperata e vogliamo solo salvare nostra figlia. Non è cerebralmente morta: al contrario, ha mostrato segni di progresso. Apre gli occhi e muove le membra. Vogliamo semplicemente la possibilità di provare. Ci spezza il cuore sentirci dire che non le è permesso lasciare l’ospedale di Londra». Questa è la nota stonata: le ragioni della scienza e quelle del diritto contrapposte al bisogno naturale di speranza.

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

 

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