Non prescrissero alcuna profilassi al paziente, che poi prese la malaria in Africa: a processo medico e infermiere

Le accuse sono supportate dalla consulenza di un medico legale, che nel suo rapporto ha scritto: “Esiste un nesso casuale fra la malattia malarica e la condotta commissiva/omissiva tenuta dagli indagati per non aver prescritto/consigliato adeguata chemioprofilassi antimalarica, che deve essere riproposta in occasione di viaggi in Paesi tropicali e sub-tropicali”.

Un falegname di Specchia (Lecce) è oggi invalido al 67% in conseguenza della malattia, contratta durante un viaggio in Costa d’Avorio nel 2014.

Responsabilità colposa per lesioni personali in ambito sanitario. È questo il capo d’imputazione per un medico curante e un infermiere professionale della Asl di Lecce, che non avrebbero prescritto a L.G., 60enne di Specchia, un trattamento profilattico per scongiurare il rischio di malattie infettive durante un viaggio in Africa. Viaggio che l’uomo effettuò nel 2014 per motivi di lavoro – titolare di una falegnameria, si era recato in Costa d’Avorio per prenotare del legname pregiato – e durante il quale contrasse la malaria.

Ancora oggi L.G. si porta dietro i postumi della malattia e il 12 ottobre scorso gli è stata riconosciuta un’invalidità permanente del 67%. Medico e infermiere, invece, sono stati raggiunti da un decreto di citazione diretta a giudizio, in seguito alle indagini messe in moto con una denuncia dalla stessa persona offesa, pronta a costituirsi parte civile nel processo che partirà il prossimo 12 dicembre.

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All’epoca dei fatti i due imputati stabilirono l’assoluta non necessità di un vaccino, basandosi sull’errato presupposto che la profilassi alla quale il paziente si era già sottoposto tre anni prima, in occasione di un altro soggiorno in Costa D’Avorio, lo aveva reso immune. In realtà la terapia aveva perso efficacia già un mese dopo la somministrazione.

E così, al rientro dal viaggio del 2014, il falegname cominciò ad accusare i classici sintomi della malaria: iperpiressia persistente, mal di testa, senso di spossatezza, evidenti segni di punture di zanzara. Medico e infermiere, però, avrebbero ritardato la corretta diagnosi di “parassitosi malarica”, violando le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e mettendo in serio pericolo la vita dell’uomo.

A effettuare la corretta diagnosi provvide, ma solo il 27 marzo del 2014, il personale medico del Centro infezioni dell’ospedale di Galatina, dove il paziente fu trasportato dai famigliari in condizioni fisiche estremamente precarie. Manifestava, infatti, una febbre superiore ai 40 gradi, resistente ad antipiretici e antibiotici, oltre a diarrea con feci maleodoranti.

Le accuse sono supportate dalla consulenza di un medico legale, che nel suo rapporto ha scritto: “Esiste un nesso casuale fra la malattia malarica e la condotta commissiva/omissiva tenuta dagli indagati per non aver prescritto/consigliato adeguata chemioprofilassi antimalarica, che deve essere riproposta in occasione di viaggi in Paesi tropicali e sub-tropicali”. Agli avvocati difensori spetta ora il compito di dimostrare il corretto comportamento dei loro assistiti.

Redazione Nurse Times

Fonte: www.corrieresalentino.it

 

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