Nuove frontiere per la correzione dei difetti delle valvole cardiache. Trattamento delle valvulopatie (TAVI – Mitraclip)

Dal punto di vista operativo il medico è l’operatore principale, tuttavia la collaborazione e la gestione assistenziale del paziente prima, durante e dopo l’interventistica è a carico dell’infermiere

La cardiochirurgia negli ultimi anni ha messo a segno un’evoluzione sulle tecniche chirurgiche tanto da rendere meno gravosi gli interventi

Le valvulopatie, ad esempio, si possono trattare con un’operazione o con un intervento meno gravoso, migliorando in modo determinante la salute e la qualità di vita di molti pazienti.

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Il mio intento in questo scritto tende a spiegare quali sono i compiti delle valvole cardiache, come si svolge la sostituzione o la ricostruzione di valvole cardiache, quali procedimenti esistono e le particolari cautele che il paziente deve osservare dopo l’intervento.  Questo può essere un valido aiuto agli operatori sanitari che assistono questi pazienti.

I compiti delle valvole cardiache

Il cuore è una pompa con quattro cavità e quattro valvole cardiache. Il sangue povero di ossigeno («venoso») che rifluisce al cuore dai diversi organi arriva nell’atrio destro e da esso, attraverso la cosiddetta valvola tricuspide, nel ventricolo destro. Questo, attraverso la valvola polmonare, lo pompa nei polmoni, dove viene arricchito di ossigeno. Il sangue «arterioso» proveniente dai polmoni affluisce nell’atrio sinistro da cui, attraverso la valvola mitrale, passa nel ventricolo sinistro e finalmente, attraverso la valvola aortica, è pompato nell’aorta (la nostra arteria principale) e quindi in tutti gli organi del corpo (figura 1).

Le valvole cardiache sono strutture tessutali a forma di tasche o di lembi («cuspidi») che per i ventricoli destro e sinistro fungono da valvola d’entrata (valvola tricuspide, valvola mitrale), rispettivamente d’uscita (valvola polmonare, valvola aortica).

Quando il miocardio (muscolo cardiaco) si contrae le valvole aortica e polmonare si aprono. Contemporaneamente le valvole mitrale e tricuspide si chiudono, impedendo così il riflusso di sangue negli atri. Allora il sangue è pompato nell’aorta e nell’arteria polmonare. Quando il miocardio si rilassa le valvole aortica e polmonare si chiudono, impedendo il riflusso del sangue nei ventricoli. Contemporaneamente le valvole mitrale e tricuspide si aprono. Ora il sangue fluisce dagli atri nei ventricoli vuoti. Questo processo si ripete da 60 a 80 volte al minuto, manifestandosi col ben noto battito del polso.

Le malattie delle valvole cardiache

Già alla nascita le valvole cardiache possono presentare delle anomalie («vizi congeniti») e provocare già nel bambino piccolo dei gravi sintomi. Però delle malattie delle valvole cardiache («valvulopatie») possono anche passare inosservate fino all’età adulta o avanzata. A qualunque età delle infiammazioni di origine reumatica o batterica possono mettere in pericolo e alterare le valvole cardiache. Nella maggior parte dei casi, con l’avanzare dell’età in queste valvole si verificano dei «fenomeni di usura» che compromettono il normale funzionamento delle tasche o dei lembi valvolari. Le valvole cardiache possono formare delle aderenze, ispessirsi o calcificarsi causando un restringimento («stenosi»). Le tasche o i lembi tessutali possono però anche dilatarsi o strapparsi, per cui le valvole non chiudono più completamente («insufficienza»).

Se le valvole non chiudono più bene, ad ogni battito cardiaco del sangue rifluisce nei ventricoli, rispettivamente negli atri. Le valvole ristrette («stenosi valvolare»), invece, ostacolano il flusso sanguigno. In entrambi i casi il miocardio subisce una sollecitazione eccessiva che, col tempo, può provocare un’insufficienza cardiaca. Il sovraccarico di lavoro del miocardio si manifesta in caso di sforzi fisici sotto forma di dispnea (respirazione difficoltosa), palpitazioni, maggior facilità a stancarsi ed eventualmente angoscia e dolori. Infine si verificano dei gonfiori alle caviglie e un senso di oppressione nella regione del fegato.

Le possibilità di terapia

Con un’assistenza medica accurata parecchi pazienti con valvulopatie hanno una vita pressoché normale. Se però non si riesce più a compiere gli sforzi fisici della vita di tutti i giorni senza che insorgano dei disturbi è arrivato il momento di prendere in considerazione un intervento sulle valvole cardiache. In determinati casi il medico consiglierà una terapia prima che l’efficienza fisica sia molto ridotta. Solo in base ai risultati di tutti gli esami preliminari i medici potranno valutare se sia possibile effettuare un intervento  mediante  catetere  senza  operare  a  cuore  aperto oppure si debba procedere a un’operazione sulla valvola.

Gli esami preliminari

Prima di ogni intervento si effettua una serie di esami per confermare la necessità di intervenire e stabilire la variante migliore per il paziente. Solitamente si tratta di una coronarografia (esame mediante cateterismo cardiaco), un’ecocardiografia (esame con gli ultrasuoni) e una tomografia computerizzata (TAC) del cuore e dei vasi sanguigni. A seconda del tipo di intervento previsto possono pure essere necessari ulteriori esami, per esempio un controllo dentistico per escludere delle infezioni nella bocca. I risultati degli esami si discutono poi nel cosiddetto «team del cuore» (costituito di diversi specialisti, tra cui cardiologi e cardiochirurghi), stabilendo assieme la terapia migliore per il paziente.

Le valvole cardiache artificiali

Sostanzialmente sono disponibili due diversi tipi di protesi valvolari: quelle meccaniche e quelle biologiche (figura 2).

Le protesi valvolari meccaniche sono generalmente di Carbon, un materiale a base di carbonio estremamente resistente. Oggi si impiantano quasi esclusivamente come valvola a doppio lembo. Queste valvole si possono applicare solo con un’operazione e hanno una durata molto lunga. Però richiedono una terapia anticoagulante orale per tutta la vita. Le protesi valvolari biologiche si fabbricano a partire da tessuti animali (generalmente di suini o bovini).

Per evitare il rigetto e la calcificazione vengono sottoposte a un procedimento chimico speciale. Il tessuto animale viene montato su una struttura portante («stent») che facilita un impianto preciso. Occasionalmente però si usano anche protesi senza tale struttura per ottenere delle superfici di apertura grandi quanto possibile. Queste valvole si possono impiantare sia mediante un catetere che con un’operazione. Non hanno la stessa durata delle protesi meccaniche, ma in compenso non richiedono una forte anticoagulazione. Raramente si utilizzano anche valvole aortiche umane prelevate da cadaveri («omoinnesti»), soprattutto in presenza di valvole cardiache molto infiammate.

L’intervento transcatetere su valvole cardiache

Si chiama «transcatetere» ogni intervento su valvole cardiache effettuato  senza  operazione  a  cuore  aperto  (apertura  della gabbia toracica). Questi interventi si eseguono mediante un catetere. Sono possibili per tutte le valvole cardiache, specialmente però in caso di malattie della valvola aortica o mitrale, e generalmente si praticano mediante un accesso nella zona dei vasi sanguigni inguinali. Questi nuovi metodi transcatetere si impiegano sovente in pazienti ad alto rischio operatorio o di età compresa tra 75 e 80 anni.

Una valvola aortica ristretta («stenosi aortica») si può curare con l’impianto di una protesi valvolare biologica, che viene «caricata» in un catetere e generalmente inserita partendo dall’inguine attraverso l’aorta (più raramente anche attraverso la punta del cuore – «accesso transapicale» – o con altre vie d’accesso). Con questo intervento non è necessario aprire lo sterno. Questo procedimento si chiama «impianto transcatetere di valvola aortica» o TAVI (figura 3).

La nuova valvola aortica viene dispiegata all’interno della valvola difettosa, che in parte dev’essere precedentemente spezzata mediante un palloncino. Una valvola mitrale ristretta («stenosi mitralica») si può dilatare con un palloncino. Per una valvola mitrale a chiusura difettosa («insufficienza mitralica») si usa un clip metallico («Bostitch» o MitraClip) o si agisce sull’anello valvolare. A tal fine, attraverso una vena inguinale si spinge un catetere nell’atrio destro e mediante punzione del setto interatriale nell’atrio sinistro. Poi si effettua l’intervento direttamente sulla valvola mitrale (figura 4).

Con tutte queste tecniche occorre soltanto una piccola incisione della pelle e l’intervento si svolge in massima parte in anestesia locale. I risultati a lungo termine finora disponibili degli interventi transcatetere, specialmente nell’ambito della stenosi della valvola aortica, sono molto promettenti. Perciò è prevedibile che in un futuro prossimo ne traggano vantaggio anche pazienti con rischio operatorio minore.

L’intervento chirurgico convenzionale

Da oltre 50 anni si sostituiscono e riparano valvole cardiache con un intervento chirurgico convenzionale. L’intervento si esegue omediante apertura dello sterno («sternotomia») o in modo mini-invasivo con accessi più brevi o alternativi tra le coste («toracotomia»). Col metodo mini-invasivo si ottengono dei risultati soddisfacenti dal profilo cosmetico e una minor durata del ristabilimento postoperatorio. Come descritto in precedenza, la valvola cardiaca difettosa viene sostituita con una protesi biologica o meccanica (figura 2). Per poter abbreviare la durata dell’operazione si applicano delle valvole cosiddette «sutureless» (cioè senza cuciture). In presenza di gravi infiammazioni, per una miglior assimilazione si può anche ricorrere a un omoinnesto.

Non far ricorso a valvole artificiali, bensì ripristinare chirurgicamente la valvola cardiaca del paziente è un grande vantaggio. Una «ricostruzione» di questo genere, a seconda del difetto, può entrare in considerazione per tutte le valvole. Dato che con questo procedimento non occorre un’anticoagulazione a lunga scadenza, la chirurgia valvolare di mantenimento è impiegata con frequenza crescente. Per stabilizzare la ricostruzione, specialmente la valvola mitrale e la tricuspide vengono rinforzate con un anello («anuloplastica», figura 2). La valvola aortica si può ricostruire completamente con del tessuto proprio dell’organismo ottenuto dal pericardio. Le esperienze finora acquisite hanno mostrato che i risultati della terapia valvolare chirurgica hanno maggior durata di quelli degli interventi transcatetere.

Ogni metodo comporta vantaggi e svantaggi, specialmente per quanto riguarda la durata, il procedimento operatorio e le possibili complicazioni. Il suo cardiologo o cardiochirurgo le consiglierà il modello di valvola e la tecnica operatoria migliori nel suo caso.

In questo contesto si terrà conto di fattori come l’età, il tipo di difetto da correggere, le dimensioni del cuore, la sua disponibilità ad assumere regolarmente certi medicamenti e naturalmente i suoi desideri personali.

La preparazione all’intervento di chirurgia valvolare

La maggior parte dei pazienti ha paura dell’intervento, parecchi sono irritabili e nervosi. Queste reazioni sono normali e comprensibili. Si possono ridurre se pazienti e i suoi famigliari sono ben informati in merito alla necessità dell’intervento ed al procedimento con cui verrà eseguito e avete discusso i vostri dubbi con i medici curanti. Sarà utile porre tutte le domande che preoccupano, per esempio:

  • se l’intervento prolungherà la sua aspettativa di vita,
  • se saranno necessarie delle trasfusioni di sangue,
  • se è possibile effettuarle preventivamente un prelievo di sangue da poi utilizzare durante l’operazione (cosiddetta «trasfusione autologa»),
  • se avrà dolori, quanto durerà la degenza in ospedale dopo l’intervento,
  • se dovrà assumere dei medicamenti per tutta la vita e quando,
  • se lavora ancora, potrà riprendere l’attività.

Di norma l’intervento transcatetere è meno aggressivo per l’organismo perché non sono necessarie la narcosi, l’apertura della gabbia toracica e l’impiego della macchina cuore-polmoni. Per questo motivo lo svolgimento dei due procedimenti è differente.

L’ospedalizzazione

Questa parte dell’intervento è simile in entrambi i metodi. Normalmente, da uno a tre giorni prima dell’intervento si eseguono gli ultimi esami preliminari. Inoltre potrebbero essere date istruzioni per il periodo immediatamente successivo all’intervento, ad esempio cominciare a pensare ad un eventuale soggiorno di riabilitazione.

Il giorno dell’intervento

Prima dell’intervento il paziente dovrà consegnare i suoi oggetti personali come occhiali o lenti a contatto, orologio, gioielli o protesi dentaria. Circa un’ora prima dell’intervento viene somministrato un medicamento che causerà sonnolenza. Giunto in sala operatoria, il medico anestesista somministrerà un medicamento per indurre sonnolenza o provocare la narcosi. Di solito un’operazione di chirurgia valvolare, con tutti i preparativi, dura da tre a cinque ore. Generalmente gli interventi transcatetere hanno una durata minore.

In terapia intensiva

Dopo l’intervento il paziente viene trasportato nel reparto di cure intensiva. In caso di intervento transcatetere vi arriverà già sveglio. Dato che di norma esso si effettua partendo dall’inguine è possibile che nei siti di punzione abbia ancora dei disturbi, generalmente però sopportabili. Normalmente resterà una notte nel reparto di cure intensive per controllare il ritmo cardiaco, però se il decorso non ha complicazioni il giorno successivo potrà essere trasferito nel reparto di degenza.

Dopo un’operazione a cuore aperto il decorso postoperatorio è un po’ diverso. Solitamente più doloroso, al momento del risveglio sarà somministrato un analgesico. La sutura operatoria, coperta da una fasciatura, sarà probabilmente situata al centro del torace sopra lo sterno. In caso di intervento mini-invasivo l’incisione si effettua tra due coste, appena sotto il seno destro. Un tubo, introdotto in bocca e spinto fino alla trachea, serve a controllare e sostenere la respirazione. Non causerà dolori ma impedirà al paziente di parlare.

Tuttavia il personale infermieristico di terapia intensiva saprà intuire i bisogni dei pazienti. Appena il paziente potrà respirare spontaneamente il tubo endotracheale sarà tolto.

L’attività del cuore è controllata continuamente mediante l’elettrocardiogramma (ECG). È possibile nel reparto di cure intensive perdere in parte la nozione del tempo, ciò può disorientare alcuni pazienti. Queste reazioni non sono eccezionali e scompaiono dopo breve tempo.

L’ulteriore degenza in ospedale

Molti pazienti temono di avere forti dolori postoperatori. I dolori dopo un intervento transcatetere sono pochi e si possono paragonare a quelli successivi a una coronarografia. Dopo un’operazione i disturbi più sovente menzionati sono sensazione di peso e rigidità alla nuca, alla schiena o anche sul petto, ma non dolori forti. La rigidità e la sensazione di peso sono dovute a crampi muscolari causati dall’incisione chirurgica. Perciò i movimenti delle braccia e delle spalle possono essere sgradevoli. Dei medicamenti aiuteranno ad alleviarli. Dopo un’operazione, nei bronchi e nella trachea si accumula del muco che dev’essere espettorato. Il fisioterapista mostrerà come inspirare profondamente ed espettorare energicamente.

Il giorno dell’operazione l’attività fisica si limiterà a muovere le braccia e le gambe stando a letto. Ma già presto, con l’aiuto del personale infermieristico e di supporto, il paziente potrà alzarsi e fare i primi passi in camera. La capacità di muoversi e di svolgere attività fisica aumenterà giorno per giorno. Ma la durata del recupero varia da un paziente all’altro e dipende dalla gravità dell’operazione e dalla costituzione fisica personale.

Dopo un intervento transcatetere generalmente l’ulteriore decorso non crea problemi. Mentre il primo giorno il paziente potrà già mangiare normalmente, il giorno successivo potrà lavarsi da sé e muoversi liberamente. Di norma potrà essere dimesso dall’ospedale dopo circa 4-5 giorni.

Dopo l’operazione, il primo giorno il paziente probabilmente assumerà soltanto degli alimenti liquidi, ma già il secondo giorno la maggior parte dei pazienti può alimentarsi normalmente. È probabile che dopo pochi giorni si potrà riprendere a provvedere da sé all’igiene personale, sedersi in poltrona e fare qualche passo. Prima di alzarsi dovrà prima applicare una fasciatura stretta alle gambe o mettere calze elastiche. Oggigiorno si adopera in parte materiale per sutura riassorbibile che non si deve più togliere. Nei primi tempi dopo l’operazione è possibile che il paziente sia un po’ di cattivo umore o depresso. Sono reazioni normali che abitualmente scompaiono non appena riacquistate le forze. Dopo circa 7-10 giorni potrà probabilmente essere dimesso dall’ospedale.

COMPETENZE INFERMIERISTICHE

Per quanto su esplicitato, l’infermiere deve acquisire insieme alle conoscenze tecniche altamente specialistiche, anche capacità operativa individuando i propri ambiti di autonomia. Dal punto di vista operativo il medico è l’operatore principale, tuttavia la collaborazione e la gestione assistenziale del paziente prima, durante e dopo l’interventistica è a carico dell’infermiere. Per la tipologia di attività invasiva che viene effettuata nelle moderne cardiologie interventistiche in particolare il ruolo dell’equipe e  l’affiancamento sono fondamentali per la buona pratica assistenziale dato che l’inquadramento dei locali, i comportamenti, le regole ed i controlli che vengono effettuati sono riconducibili ai locali classificati in area chirurgica. Ne deriva che l’infermiere di Cardiologia Interventistica è un professionista completo che ha le capacità tecniche e assistenziali atte a ottenere il miglior risultato possibile per le procedure interventistiche su esplicitate.

Dott. Inf. Antonio Savino

Fonte: www.swissheart.ch

Redazione Nurse Times

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