Infermieri

Ocse: “Per fronteggiare cronicità e disabilità in aumento servono team multiprofessionali”. Fnopi concorda

Per Barbara Mangiacavalli, “la ricetta è quella dell’infermiere di famiglia, ma l’Italia è a corto di professionisti”.

Si potrebbe dire che il rapporto OECD Health at a Glance 2019, appena diffuso dall’OCSE, non contiene novità per gli infermieri: rispetto a una media OCSE di 8,8 professionisti ogni mille abitanti, da noi ce ne sono solo 5,8. Mentre di medici, rispetto a una media OCSE di 3,5, l’Italia ne ha 4 ogni mille abitanti. Il rapporto tra infermieri e medici resta uno dei più bassi dei Paesi OCSE: 1/5. L’Italia è al 35esimo posto sui 44 Paesi considerati e ben al di sotto della media OCSE di 2,7, con un rapporto che è la metà di quello che hanno in Europa ad esempio Francia e Germania (uguale o superiore a 3), mentre il Regno Unito, con 2,8, è comunque al di sopra della media. Quel che è peggio è l’invecchiamento della popolazione sia infermieristica che medica, con un aumento medio dal 2000 al 2017 del 36% di “anziani”, che per gli infermieri sono al di sopra dei 50 anni e per i medici dei 55 anni. In questo quadro di riduzione e/o invecchiamento della forza lavoro infermieristica spicca anche il dato di servizi di prevenzione al di sotto della media OCSE (68% in Italia contro una media del 73%), e quello dell’aumento della disabilità legato all’invecchiamento della popolazione. Secondo il rapporto OCSE, l’Italia ha attualmente la seconda prevalenza più alta di demenza in tutti gli Stati dell’Organizzazione (23 casi per mille abitanti). Entro il 2050 le proiezioni stimano che più di una persona su 25 vivrà con demenza. Nonostante ciò, l’Italia ha speso meno dello 0,6% del Pil per l’assistenza
a lungo termine nel 2017 e, sebbene il numero sia in aumento, l’Italia ha il quinto più basso numero di letti per lungodegenza. L’OCSE sottolinea in questo senso la necessità di “un passaggio verso l’assistenza sanitaria primaria basata su team che integrino in modo flessibile le competenze di vari operatori sanitari per migliorare i risultati in pazienti con patologie croniche e multimorbidità (team interprofessionali per pazienti complessi nelle cure primarie)”. “Ancora una volta – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche – l’OCSE sottolinea la carenza dei nostri professionisti. Ma per la prima volta mette in forte evidenza anche i rischi legati all’aumento di cronicità e disabilità, e indica come cura quella che noi stiamo da tempo proponendo: team multiprofessionali, soprattutto nell’assistenza di base, sul territorio. Nel quale per noi la figura naturale, accanto ai medici di medicina generale, è l’infermiere di famiglia e di comunità. È l’unica via per gettare le basi di un vero, nuovo modello di assistenza. L’infermiere è la figura costantemente presente nei team assistenziali e può ricoprire un ruolo significativo nella gestione della complessità evidenziata dalla persona assistita. È un punto di riferimento (in team con altri professionisti), come hanno dimostrato le esperienze nelle Regioni benchmark, che può dare risposte e sostegno alla fragilità, alla cura, al bisogno di continuità e integrazione attraverso una presa in carico proattiva, continua e integrata rispetto ai veri bisogni dei cittadini”. Redazione Nurse Times  
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