Profilo professionale

Chi è, oggi, l’ infermiere “professionale”?

Nessuno. L’ infermiere ‘professionale’, oggi, non dovrebbe essere proprio nessuno. Eppure, a livello giuridico, questa dicitura non è ancora del tutto impropria…

Tempo fa, durante una delle presentazioni del mio libro “Buonanotte, madame” (VEDI), mi capitò di essere intervistato da un giornalista, collaboratore di una nota testata.

Persona gentile e preparata, ricordo che presentò il mio intervento con un excursus tanto breve quanto toccante ed efficace su ciò che aveva ispirato il mio romanzo; ovvero la mia attività di infermiere domiciliare a contatto con persone malate di Sclerosi Laterale Amiotrofica.

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Prima di lasciarmi la parola, mi definì, con palpabile rispetto e con un atteggiamento di profonda stima, “Infermiere professionale”.

Sorridendo, microfono alla mano, puntualizzai subito: Infermiere, grazie. Senza professionale.

E lui: “Che modesto, il nostro autore. Ok, solo infermiere. Senza professionale. Prego, raccontaci chi sei e come è nato questo tuo libro”.

Mi sentii ribollire il sangue… perché in quel momento capii che per lui, così come per le tante persone presenti quella sera e che si lasciarono andare ad uno scrosciante applauso, quel “professionale”, appoggiato lì prima di “infermiere”, era in realtà un’accezione positiva; un qualcosa che andava a sottolineare in qualche modo le competenze di quella figura, ovvero la sua professionalità, il suo valore, e per certi versi anche la sua modernità; quasi come se il termine “infermiere”, lasciato lì da solo, senza nessun aggettivo chiarificatore, fosse solo il residuo di un mestiere antico, perso chissà dove nel tempo e a cui potevano accedere tutti senza alcun titolo o preparazione.

Non era quello, né il luogo, né l’occasione per spiegare a tutti che cosa sia oggi la professione infermieristica, ma… ammetto che fui fortemente tentato di annoiare la platea con qualche esauriente delucidazione a tal proposito. Perché anche se molti colleghi, medici, ausiliari, OSS e non addetti ai lavori non lo sanno, l’infermiere “professionale” non esiste più. È morto e sepolto. E questa dicitura, oggi, dovrebbe essere assolutamente impropria da accostare alla figura infermieristica.

Già, dovrebbe. Ma è davvero così? Proviamo a fare una sintesi.

Con l’emanazione del Decreto Ministeriale 739 del 1994 (ovvero il Profilo Professionale dell’Infermiere) la figura infermieristica, fino ad allora inquadrata come ausiliaria della professione medica, ha iniziato un drastico processo di cambiamento. Che l’ha portata, dopo tutte le battaglie vinte negli anni successivi e riportate qui di seguito, a sancire di fatto il passaggio dall’Infermieristica tecnica (Infermiere professionale, per l’appunto) all’Infermieristica intellettuale (Infermiere professionista):

  • legge 42 del 1999, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”. Abrogò il mitologico “Mansionario”;
  • Decreto Ministeriale 509/1999, “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”. Prima della sua emanazione, si poteva conseguire il titolo di infermiere professionale con un corso di 3 anni, dopo aver assolto l’obbligo scolastico (16 anni).
  • legge 251 del 2000
    , “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”. Sancì l’autonomia della figura infermieristica per quanto riguarda “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva”;
  • Decreto Interministeriale 2 aprile 2001,Determinazione delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie”. Determinò che per poter diventare Infermiere, era necessario iscriversi alla facoltà universitaria di infermieristica.

E gli “infermieri professionali” formati prima di tutto questo stravolgimento legislativo? Che fine hanno fatto? Grazie al Decreto 2 aprile 2001, sono stati equiparati agli Infermieri. Perciò… oggi, in giro, non dovrebbe esserci più nessun “infermiere professionale”, in quanto siamo tutti infermieri. Giusto?!

Sì. Cioè No. O meglio… non proprio. Perché in realtà ci sono ancora gli infermieri generici a zonzo per gli ospedali e soprattutto è ancora attivo il loro mansionario (il D.p.r. 225 del 1974 non è stato abrogato del tutto); perciò, per distinguere le due figure, quel “professionale” (seppur obbrobrioso) non può ancora essere considerato una castroneria (vedi sentenza della Suprema Corte di Cassazione, VI Penale, 29 dicembre 2006 n. 39486).

Che adesso noi siamo qualcosa di molto diverso rispetto al passato, è fortunatamente abbastanza chiaro: l’Infermiere è infatti diventato un professionista intellettuale, laureato, autonomo e “responsabile dell’assistenza generale infermieristica”. Una figura dotata di scienza, coscienza e di piena responsabilità giuridica (civile e penale) per quanto riguarda il proprio operato.

E l’infermiere è, udite udite, un “dottore”. Che potrebbe (e forse dovrebbe) far rispettare questo suo titolo sul luogo di lavoro.

Così, infatti, recita il Comma 7 dell’articolo 13 del Decreto 22 ottobre 2004, n.270 (“Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509”): “A coloro che hanno conseguito, in base agli ordinamenti didattici di cui al comma 1, la laurea, la laurea magistrale o specialistica e il dottorato di ricerca, competono, rispettivamente, le qualifiche accademiche di dottore, dottore magistrale e dottore di ricerca. La qualifica di dottore magistrale compete, altresì, a coloro i quali hanno conseguito la laurea secondo gli ordinamenti didattici previgenti al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509”.

Che tutto ciò, nella realtà italiana, sia troppo spesso relegato alla sola carta, è uno dei tanti problemi della professione infermieristica. I motivi sono molti, alcuni atavici e vanno al di là dell’attuale crisi (che di certo non ha aiutato, contribuendo ad alterare diversi equilibri): la classe medica e i mass media, ad esempio, sono probabilmente un importante ostacolo alla crescita degli infermieri; così come lo è lo scarso riconoscimento della figura infermieristica da parte degli utenti del Servizio Sanitario Nazionale. Confusi, questi ultimi, dalle diverse figure presenti in ambito sanitario, dal demansionamento che confonde i ruoli degli operatori e da continue parentesi di disinformazione da parte dei media.

Come possiamo uscirne? Probabilmente studiando, protestando, scendendo in piazza quando necessario e denunciando i soprusi professionali subiti a chi di competenza, cari infermieri. Con coraggio. Perché è davvero giunto il momento di pretendere ciò che ci spetta di diritto: professionismo, autonomia e riconoscimento REALI; passando, inevitabilmente, attraverso l’abbattimento della precarietà, del demansionamento e dello sfruttamento da parte dei soggetti di intermediazione.

Che l’acronimo della Federazione dei Collegi Professionali che rappresentano gli infermieri, ovvero I.P.A.S.V.I (Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia), rimasto invariato dal 1954, non ci aiuti neanche un po’ a staccarci dal passato… è un altro discorso.

Marianna Di Benedetto

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