Infermieri

Osservasalute 2018: meno infermieri, più rischi per la salute dei pazienti

I commenti di Barbara Mangiacavalli e Tonino Aceti (presidente e portavoce Fnopi) sui dati emersi dal Rapporto.

Il Rapporto Osservasalute 2018, presentato ieri all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, mette in evidenza che rispetto ai ricoveri le persone con limitazioni nelle attività quotidiane che si dichiarano molto soddisfatte dell’assistenza medica e infermieristica sono oltre il 35% dei casi (contro il 43,3% delle persone senza limitazioni nelle attività), mentre è sotto il 30% la quota di chi e molto soddisfatto di vitto e servizi igienici. Ma le differenze territoriali sono molto marcate, sottolinea Osservasalute, con quote di gradimento di circa il 50% al Nord e di meno del 25% al Sud e nelle Isole.

Per l’assistenza infermieristica, in particolare, si rilevano le percentuali maggiori di soddisfazione, ma con ordine diverso, nella PA di Trento, Valle d’Aosta e Veneto, mentre dove le persone sono meno soddisfatte è la Basilicata, la Campania e la Puglia. E gli infermieri sono anche più vecchi. Nella fascia di età 40-49 anni sono il 40,2% del totale degli infermieri dipendenti del Ssn (nel 2013 erano il 44,1%). Gli infermieri compresi, invece, nelle fasce di età 50-59 anni e 30-39 anni sono, rispettivamente, il 36,0% e il 13,8% del totale (nel 2013 erano il 31,3% e il 17,2%). I dati confermano che il calo più significativo di unità si è verificato nella fascia di età 0-39 anni (-4,34%). Al contrario, c’è stato un aumento di personale infermieristico nelle fasce di età 50-59 anni e 60 anni ed oltre (4,77% e 3,41%, rispettivamente, a livello nazionale).

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In più, sottolinea Osservasalute, gli infermieri sono sempre meno: tra il 2013 e il 2016 si riducono del -2,4%, da 271.043 a 264.646 e secondo gli ultimi dati Aran sono calati di oltre 7mila unità in soli cinque anni. “Mancano tanti professionisti – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, ma a mancare in modo allarmante sono gli infermieri, quei professionisti che prendono in carico il malato prima, durante e dopo qualunque intervento abbia subìto o debba subire e fino alle sue dimissioni. Quei professionisti che hanno il compito di seguirlo a domicilio per assicurare che si curi, lo faccia bene e non abbia complicazioni e se queste subentreranno allora proprio quei professionisti faranno scattare l’intervento del medico di medicina generale, dove necessario e possibile, per evitare code, intasamenti e liste di attesa ai pronto soccorso”.

Nelle Regioni si assiste ancora una volta a una forte difformità: in tutte quelle del Sud il dato è superiore al valore nazionale, mentre in otto casi (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Marche, Puglia, Basilicata e Sardegna) l’andamento del trend non è perfettamente in linea con quello nazionale di diminuzione in tutti gli anni considerati. In più, sono solo 3 (Sardegna, Trentino-Alto Adige e Marche) le regioni in controtendenza rispetto al dato nazionale.

Per quanto riguarda, invece, il tasso di infermieri per 1.000 abitanti, a eccezione di Valle d’Aosta, Marche, Basilicata e Sardegna, in tutte le regioni si riscontra il trend negativo registrato a livello nazionale. In particolare, le riduzioni più marcate si registrano in Lazio, Molise, Campania, Sicilia e Abruzzo, ancora una volta quindi quelle in piano di rientro.

“I numeri della carenza sono ormai senza freni – ricorda Tonino Aceti, portavoce Fnopi – e, con la complicità di ‘quota 100’, rischiano in pochi anni di superare le 100mila unità. Ma il rischio maggiore è per gli assistiti: studi internazionali hanno definito che a ogni aumento del 10% di personale infermieristico laureato corrisponde una diminuzione del 7% di mortalità. L’associazione dei due valori ha rivelato che se negli ospedali il rapporto infermiere/paziente è di 1:6, la probabilità di decesso a trenta giorni dalla dimissione è del 30% inferiore rispetto a strutture in cui il rapporto infermieri/pazienti è di 1:8”.

Prosegue Aceti: “In Italia il rapporto infermieri-pazienti era nel 2017 di uno a 8-9 nelle Regioni benchmark, quelle con l’assistenza migliore e si arrivava a fino a uno a 17 nella Campania, che con gli effetti di ‘quota 100’ potrebbe superare a situazione invariata il rapporto di 1 a 20, dove il turnover è da decenni un’araba fenice e i piani di rientro guardano prevalentemente la spesa. Ministro, Governo e Regioni devono correre ai ripari. Ha ragione il ministro Giulia Bongiorno, che ieri ha annunciato fuoriuscite massicce dalla Pa per i pensionamenti, a dire che servono subito concorsi sprint e i dati del Rapporto Osservasalute come pure quelli dell’Aran ci dicono che è la professione infermieristica ad averne oggi più bisogno. Osservasalute raccomanda il monitoraggio dell’indicatore ‘personale’ nei prossimi anni, anche perché, se il trend fosse confermato, sarà sempre più difficile colmare la mancanza di personale medico e infermieristico per far fronte ai bisogni di cura sempre maggiori che si presenteranno nel prossimo futuro”.

E il territorio, secondo Osservasalute, è il più penalizzato. “Le modificazioni nel bisogno di salute della popolazione – si legge – richiedono il passaggio a logiche proattive di ‘presa in carico’ delle comunità e degli individui che ne fanno parte garantendo facilita di accesso ai servizi più appropriati e continuità dell’assistenza tra i vari setting e momenti di erogazione secondo una organizzazione dei servizi on-plan”.

La ricetta che indica Osservasalute per il territorio è realizzare un’organizzazione dell’assistenza secondo gruppi di servizi e sottogruppi di pazienti caratterizzati da necessita simili. Con cinque elementi essenziali:

  1. identificazione di gruppi di pazienti con bisogni di salute simili;
  2. costruzione di team multidisciplinari e multiprofessionali attorno al bisogno del singolo individuo formati da medico di medicina generale, specialisti, infermieri, infermieri specializzati (quelli che per la FNOPI sono gli infermieri di famiglia) e altro personale di supporto;
  3. individuazione degli esiti clinici, dei processi e degli outcome rilevanti per il paziente da misurare per la valutazione del raggiungimento di obiettivi confrontati con standard di riferimento predefiniti e in una prospettiva person-centered per la valutazione della qualità clinico-assistenziale;
  4. definizione di nuovi modelli di pagamento in base all’individuazione dei sottogruppi di popolazione;
  5. integrazione con gli altri livelli di assistenza (secondario e terziario).

Dal punto di vista delle risorse, poi, in Italia, nonostante l’elevata percentuale di ultra 80enni, secondo Osservasalute è ancora troppo bassa la quota della spesa sanitaria complessiva per l’assistenza sanitaria a lungo termine (10,1%) se confrontata con quella di Paesi con simile livello di invecchiamento (14,8% in Francia e 16,5% in Germania). È quindi prioritario “orientarsi alle necessita della popolazione che invecchia, potenziando l’assistenza a lungo termine e l’assistenza domiciliare, con maggiori e rinnovate risorse economiche e umane (soprattutto infermieri e personale specializzato nell’assistenza domiciliare)”.

Consulta il Rapporto Osservasalute 2018

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