Quando gli angeli del P.S. combattono gratis e disarmati una guerra contro il Coronavirus

Questa è una storia vera ma con nomi di fantasia. Michele si laurea in infermieristica e prende un master in area critica. Fa volontariato nella pubblica assistenza del suo paese, tradizione di famiglia. Il Pronto Soccorso è la sua strada. Partecipa ad un primo concorso in un’Asl della sua regione, la Liguria ed entra in graduatoria. Fa un secondo concorso in una regione vicina, la Lombardia ed entra in graduatoria anche li.

Arriva la chiamata dalla Lombardia nel 2018. Pronto Soccorso… Fantastico, è quello che ha sempre voluto fare ed inizia.

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2020, scoppia l’emergenza coronavirus. È in trincea come tutti i ragazzi ed i medici del pronto soccorso di quella e di altre regioni e con lui ragazzi siciliani pugliesi, calabresi e naturalmente lombardi. Scopriamo che i nostri figli sono in corsia, in reparto, nella sanità. Scopriamo che sono tantissimi ragazzi giovani che per 1600 euro al mese, spicciolo più spicciolo meno sono da questa parte del Piave. E non mollano.

Ci sono i “veterani”, gli esperti, che subito mettono a disposizione la loro esperienza e la loro perizia non solo per la parte clinica ma soprattutto per la logistica, vedono possibili problemi che i più giovani ancora non scorgono. Poi ci sono loro, i bamboccioni, i neanchetrentenni, i choosy, quella meglio gioventù che sta diventando grande in fretta e che, capita l’emergenza, affronta il rischio e non si muove, resta li. Queste due generazioni sono la nitro e la glicerina che stanno salvando il culo a tutti noi.

Vedono persone entrare in Pronto con le mascherine che servirebbero a loro, le loro sono finite. Gli è stato detto che devono arrivare in giornata, ma se non arrivano, niente mascherine per il turno successivo. Quando stacchi, qualche volta non la butti, la tieni da parte perchè come si dice da quelle parti “Putost che nient l’è mej putost “.

Usano camici monouso un sacco di volte perché ci sono solo quelli. Hanno iniziato a capire da una lastra se un paziente è un probabile covid+ prima dell’esito del tampone, e questo rende una distinzione dei percorsi del “pulito” e dello “sporco” migliore.

Quando i colleghi si ammalano aumentano i turni, ma li vedi lì, con le facce segnate e le piaghe da decubito delle mascherine sul naso e sulle guance. Sperando che quelle mascherine ci siano anche il giorno dopo.

Ci sentiamo tutti i giorni. Io, suo padre, a 300 chilometri di distanza ascolto le sua giornata, il suo entusiasmo in quella situazione di guerra, il suo sconforto nel vedere l’altra Italia, quella che se ne fotte delle regole e li mette a rischio, la sua rabbia nel non poter intervenire, a volte, come sarebbe opportuno, cacciando chi si intrufola senza avere protezioni ne diritto di stare dove sta o nel vedere ambulanze con malati rifiutate dalle cliniche private e mandate da loro per consentire almeno un ingresso in sicurezza. Senza preavviso. arrivano e basta. Ho paura per lui e sono orgoglioso di lui.

Un bel giorno, inaspettatamente, chiamano dalla Liguria, una terra dove per fortuna, covid-19 non ha ancora dato il meglio di se e speriamo che resti cosi. Ma se fosse? I numeri non sono affatto confortanti, e alcuni comportamenti, chiaramente in conflitto con tutte le norme vigenti, hanno fatto in modo che in Liguria il picco potrebbe essere più dilatato nel tempo mentre in Lombardia un puntino luminoso la in fondo si inizia a vedere.

La sua esperienza fatta sul campo di gestione ed organizzazione dell’emergenza in un pronto soccorso di prima linea potrebbe essere importante in un ospedale delle “retrovie”. E torna a vedere il mare, perché noi liguri abbiamo il sangue salato.

C’è tutta una parte burocratica. Il nostro servizio sanitario nazionale è un agglomerato di tante aziende distinte. Non ci si trasferisce da una all’altra cosi, come sarebbe normale in una struttura unica con tante sedi. Non si può fare un trasferimento diretto. Ci vogliono le visite prescritte per legge, anche se si sta già lavorando in un pronto soccorso pubblico. Bisogna licenziarsi da una parte ed essere assunti dall’altra.

Fa le prime visite ed il primo colloquio a in Liguria. Vuole il Pronto Soccorso, è la sua vita, è quello per cui ha studiato e per cui ha preso un master, ha fatto esperienza, amici infermieri che gli dicono che per il momento i nuovi assunti finiscono in area critica.

Al colloquio gli viene accennata la possibilità del Pronto Soccorso.

Intanto in Lombardia, 8 notti in un mese, straordinari, arrivi a casa e sei troppo stanco per dormire, non hai tempo di fare la spesa, la coda spesso è molto lunga o è tutto chiuso. La tua testa è piena e vuota. Prima si parla di un periodo di prova e di una conseguente aspettativa ma poi, la prova che la fai a fare se lavori da 2 anni già in pronto? Mentre si cerca di capire se la normativa prevede o meno la prova e se sia realmente possibile trasferirsi in questo momento dalla Regione Lombardia i giorni passano ed i turni aumentano.

Le ferie per il personale sanitario sono sospese per decreto, come se qualcuno, almeno dove lavora Michele, le avesse chieste davvero in questa situazione.

Chi si adopera per questo trasferimento fa il possibile per aiutare Michele, ma le norme sono norme.

Dopo il colloquio in Liguria conferma alla struttura pubblica per cui lavora che si trasferirà in altra struttura pubblica e loro gli chiedono di fermarsi in Lombardia fino a giugno.

Michele acconsente ad una condizione. Adesso in Liguria probabilmente sarebbe in un pronto soccorso, a giugno non si sa, potrebbe finire in altri reparti, reparti fuori dal suo percorso formativo e lavorativo, quindi se ha la garanzia che a giugno sarà in un area critica anche non nell’immediato, Michele resta in prima linea in Lombardia.

Non è possibile. Nell’immaginario collettivo un infermiere è poco piu di un pulisciculo che fa le punture, da le pastiglie e talvolta fa i prelievi di sangue. Non è così. Un infermiere di PS non va in sala operatoria ed un infermiere di ortopedia non va in ematologia. Ormai piaccia o no, sono anche loro molto specializzati ed in questo momento, servono ragazzi che sanno quello che fanno in ps, per gli altri e per loro.

Ci hanno provato, non resta che andare in Liguria con i tempi previsti all’inizio ma nel frattempo si sono persi giorni. Quando andrà in Liguria, uscirà da una zona in via di miglioramento (almeno si spera) per andare in una zona dove il picco potrebbe essere in arrivo. Da una trincea all’altra, ma sempre in prima linea.

Quando la situazione è definita, parte la lettera di dimissioni per l’ospedale lombardo in attesa di andare a firmare in Liguria. Nella settimana che intercorre tra le dimissioni e la firma del nuovo contratto, Michele sa che ha lasciato un lavoro e non ha ancora firmato per un altro. Nel frattempo continua a fare le notti e salvare persone.

Arriva la comunicazione dall’ospedale lombardo che lo avvisa: avendo presentato formalmente le dimissioni in ritardo rispetto ai 30 giorni previsti, risultando solo 15 giorni il preavviso verrà chiesta una penale.

Adesso Michele è in Liguria e gli è arrivata la lettera dall’ASL lombarda. Gli chiedono indietro quasi mille euro da versare entro 30 giorni dalla raccomandata. Nei centomila miliardi di euro che ci metteranno a disposizione ci saranno anche i suoi mille? Potrà anche essere fiscalmente corretto, ma giusto proprio no.

Dott. Simone Gussoni

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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