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Responsabilità medica, anche lo specializzando rischia: lo dice la Cassazione

Rilanciamo il commento di Altalex alla sentenza 4 luglio – 17 ottobre 2019, n. 26311.

Quella del medico specializzando è una figura dotata di un’autonomia che, sebbene vincolata al rispetto delle direttive impartite dal tutore, lo espone a responsabilità per gli atti compiuti. In altre parole, la sua presenza nella struttura ospedaliera non serve solo ai fini della formazione professionale, né può essere meramente passiva. Si tratta pur sempre di un laureato in Medicina e chirurgia. Di conseguenza, se chiamato a svolgere attività che esulano dalle sue capacità o competenze, deve rifiutarsi. In caso contrario, rischia di risultare responsabile in termini di colpa per assunzione. È quanto si evince dalla sentenza 4 luglio – 17 ottobre 2019, n. 26311 della Corte di Cassazione, III Sezione Civile (vedi allegato), che ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale già inaugurato dalla IV Sezione Penale. Il caso – La pronuncia giunge all’esito del procedimento promosso da una donna chiedendo la condanna al risarcimento del danno del proprio ginecologo, di una dottoressa specializzanda in medicina e della Casa di Cura in cui l’attrice era stata ricoverata. La donna si era sottoposta ad amniocentesi, eseguita dal proprio medico il quale, dovendosi recare all’estero il giorno successivo all’esame, l’aveva affidata ad una giovane specializzanda, indicandola alla paziente come propria sostituta in caso di necessità. Notando la comparsa di perdite di liquido amniotico la donna si era rivolta alla dottoressa che, anziché sottoporla a controllo ecografico e a una terapia antibiotica a largo spettro, si era limitata a prescriverle iniezioni di gestone. Ricoverata d’urgenza per perdite ematiche ed insorgenza di febbre, l’attrice aveva subìto un aborto ed il suo stato di salute era ulteriormente peggiorato dal sopraggiungere di un gravissimo shock settico, che le aveva cagionato la perdita della capacità di procreare e un’insufficienza renale rivelatasi cronica nonostante i trapianti di rene eseguiti. In base alla CTU espletata, il Tribunale di Roma rigettava la domanda. L’attrice proponeva quindi appello che veniva accolto dalla Corte d’appello di Roma con condanna della Casa di Cura e dei due sanitari, in solido fra di loro, al risarcimento dei danni. A seguito delle impugnazioni proposte in via principale (dal medico) ed in via incidentale (dalla specializzanda e dalla casa di cura, nonché dalle compagnie assicurative intervenute a garanzia dei propri assistiti soccombenti) la vicenda giungeva in Cassazione. Medico specializzando e autonomia vincolata – Molti i motivi posti alla base dei gravami anche se particolarmente degna di nota, per quanto qui di interesse, è la censura contenuta in uno dei ricorsi incidentali. Alla Corte è chiesto infatti di statuire se il medico specializzando, ancora in fase di formazione, sia responsabile per l’attività posta in essere o se invece, come sostenuto dalla specializzanda soccombente, debba considerarsi un mero esecutore di ordini altrui, privo del potere di assumere decisioni terapeutiche. La Suprema Corte richiama l’orientamento affermatosi in ambito penale, ribadendo che il medico specializzando non è presente in struttura ai soli fini della formazione professionale, quindi la sua non è una presenza passiva, né può essere considerato un mero esecutore d’ordini del tutore, anche se non gode di piena autonomia. Si tratta pur sempre, infatti, di un soggetto che ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia e che è quindi dotato di un’autonomia che, seppur limitata stante la formazione specialistica ancora in corso ed il necessario rispetto delle direttive impartite, non può essere disconosciuta. La giurisprudenza parla in proposito di autonomia vincolata, le cui dirette conseguenze sono la riconducibilità allo specializzando delle attività da lui compiute e la necessità che si rifiuti di svolgere quei compiti che non è (o non si ritiene) in grado di eseguire, rispondendone altrimenti a titolo di colpa per assunzione. La colpa per assunzione
– La nozione di colpa per assunzione emerge dal testo delle richiamate sentenze (Cass. IV Sez. Penale, sentenze citate) e identifica l’elemento soggettivo proprio di colui che cagiona un evento dannoso, avendo assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il grado di diligenza richiesto all’agente preso come modello di riferimento. Lo specializzando che accetta di compiere una certa attività, pur consapevole di non avere la preparazione e la competenza necessarie ad eseguirla, risponde quindi a titolo di colpa per assunzione delle eventuali conseguenze dannose che dovessero prodursi. Né potrà invocare, a titolo di esimente, la limitata autonomia di cui dispone: se è vero che la sua attività deve svolgersi sotto le direttive impartite dal docente, è altrettanto vero che è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente che, pur condivisa con il tutore, lo espone a responsabilità per gli atti di sua competenza. La Corte sottolinea che nel caso in esame era emersa in modo chiaro la negligenza della specializzanda, che pur essendo dotata delle cognizioni per desumere che dai sintomi riferiti potessero verificarsi complicanze, non aveva apprestato le cure più idonee a prevenire gli eventi occorsi. Aggiunge note di censura anche per la condotta della Casa di Cura, che proprio perché consapevole di non poter gestire adeguatamente l’evento avrebbe dovuto rifiutare il ricovero della paziente ed indirizzarla con urgenza verso strutture più idonee. Conclusioni – Muovendo dalle predette argomentazioni la Corte ha quindi respinto il ricorso principale e dichiarato inammissibili quelli incidentali, compensando le spese del giudizio tra le parti ma condannando i ricorrenti al pagamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002. Redazione Nurse Times Fonte: Altalex ALLEGATO: La sentenza della Corte Costituzionale  
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