Rispetto e non discriminazione al centro dell’attività dell’infermiere

Il focus di Opi Firenze-Pistoia sull’articolo 3 del nuovo Codice deontologico.

Rispetto e non discriminazione sono imprescindibili nell’attività infermieristica. A metterlo nero su bianco è il nuovo Codice deontologico dell’infermiere, approvato dal Comitato centrale della Federazione e dal Consiglio nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, riuniti a Roma nella seduta del 12 e 13 aprile 2019. Il punto è specificato all’articolo 3 (“Rispetto e non discriminazione”), che recita “L’infermiere cura e si prende cura della persona assistita, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere” e puntualizza quelle che sono le norme contro la discriminazione “senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale”.

Nei dettami dello stesso, la professione infermieristica si ripropone, oltre che di recepire, anche di andare oltre a quanto riportato nel trattato costituzionale all’articolo 3, che recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

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Alessandro Singali

Alessandro Singali, infermiere esperto in area etico-deontologica, referente della Commissione etica di Opi Firenze-Pistoia e membro dell’Istituto italiano bioetica per la Toscana fa una disamina dell’articolo 3: «L’articolo rappresenta, un modello teorico-pratico il cui scopo tende a mettere in atto un  comportamento professionale nello svolgimento della pratica quotidiana, attraverso un approccio “emico/etico”, cioè considerando la cultura dall’interno e cercando di porsi dal punto di vista degli assistiti e di comprendere in che modo essi danno senso alla realtà, concentrandosi sugli elementi di unicità e peculiarità della cultura stessa e dei suoi valori. In sintesi, l’infermiere si astiene da ogni forma di discriminazione e colpevolizzazione nei confronti di tutti coloro che incontra nel proprio agire professionale».

Il dettame, in un linguaggio più moderno, evoluto e attuale, affronta aspetti quali:

  • Discriminazione sociale – senza la discriminazione sociale- con preciso riferimento alla classe sociale dei soggetti assistiti in quanto l’esercizio della professione sanitaria non può, in alcun modo, essere di tipo classista: sarebbe un andare contro la propria mission professionale.
  • Differenza di genere – senza alcuna distinzione di genere: differentemente della Costituzione che usa la parola “sesso”, il Codice utilizza il termine “genere” in quanto rappresenta un concetto più ampio, una costruzione identitaria ovverosia quello che ogni individuo sente di essere, a differenza della sessualitàche rappresenta essenzialmente le caratteristiche biologiche proprie di ogni persona (maschio o femmina). «Tuttavia – spiega Singali – il termine genere non va confuso con l’orientamento sessuale di una persona, che invece definisce il tipo di attrazione sessuale».
  • Distinzione etnica – senza distinzione etnica:a differenza del termine “razza”, usato dalla costituente e che nel linguaggio politico del periodo rappresentava il diretto richiamo alle leggi razziali (un complesso di Regii Decreti e Leggi varati fra il settembre 1938 e il luglio 1939), ma che di fatto connota i soli tratti comuni fisici e genetici delle persone, il Codice deontologico pone l’attenzione su un concetto più ampio, cioè sull’etnia, intesa come “complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza”.
  • Discriminazione religiosa e sociale – senza discriminazione religiosa e sociale-, ovvero il  saper accettare situazioni diverse all’interno delle loro molteplici complessità: la considerazione verso altre culture indica il rivolgersi all’individuo nei vari aspetti della propria vita, come ad esempio le restrizioni alimentari, a volte di carattere religioso a volte culturale, che condizionano l’operato dell’infermiere.  Tuttavia il rispetto delle altre culture trova un limite, e questo limite lo sancisce proprio la nostra Costituzione nel dettato “limiti imposti dal rispetto della persona umana”:  qualsiasi comportamento o atto che sia contrario alle persone e che contrasti con la dignità delle stesse anche se appartiene a usanze, culture e religioni, non può essere accolto e deve trovare nel professionista sanitario una barriera difensiva (come, per esempio, le  mutilazioni genitali femminili): questi comportamenti non sono  accettabili indipendentemente dal credo della persona che li pratica. «In questo caso – conclude Singali –, anche se sancito dalla Costituzione, la scienza e la professione infermieristica ha ritenuto opportuno riaffermarlo nel proprio Codice, facendone un assunto fondamentale».

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