Stop al mobbing infermieristico: tutelati!

È fondamentale conoscere il temine e soprattutto riconoscere se si è davvero vittime.

Il mobbing è una forma di violenza fisica o psicologica determinata da una specifica strategia, mirata a emarginare l’individuo dal processo lavorativo. È quindi una sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all’aggressione fisica.

Le categorie di Mobbing:

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  • Mobbing verticale: siamo in presenza della fattispecie più comune, anche perché più facile da realizzare; in questi casi è il vostro diretto superiore a porre in essere quei comportamenti lesivi del vostro diritto, e allora si può parlare anche di bossing.
  • Mobbing orizzontale: in questo caso sono i colleghi a realizzare comportamenti atti a rendere il luogo di lavoro non adatto a garantire il vostro benessere e i vostri diritti; le ragioni possono essere delle più disparate e vanno dall’invidia al razzismo, allo spirito di becera competizione, ecc…
  • Mobbing strutturale o organizzativo: in questo caso, più che una dolosa volontà da parte dell’azienda di realizzare i comportamenti lesivi del vostro diritto, vi è una prassi consolidata da anni, supportata da ignoranza o vetuste modalità di intendere il lavoro.

Cosa dice la legge?

  • La tematica in questione assurge al rango costituzionale quando si tratta di tutelare il lavoratore nell’ambiente del lavoro, che deve permettere di esplicare la sua piena personalità e le sue capacità professionali (artt. 2, 3 e 41 Cost.).
  • Art 2043 c.c., con il generale principio del neminem laedere, a seguito del quale chi cagiona un danno ingiusto, obbliga chi ha commesso il fatto doloso o colposo a risarcire il danno.
  • Art 2087 c.c., mediante il quale è statuito come il datore di lavoro debba adottare le misure in grado, secondo la particolarità del lavoro,di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Perché si configuri ilmobbing è necessario cioè che la condotta si risolva in: “sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui possa derivare la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità”. (Cass. 09/3785)
  • Art 2103 c.c., a seguito del quale non è possibile dar vita al demansionamento dell’infermiere, con l’unica eccezione del c.d. repechage nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa. In pratica è la scelta del male minore, piuttosto che essere licenziati si può accettare di essere adibiti a mansione inferiore.
  • Anche i procedimenti disciplinari possono celare un atto di mobbing e porsi in antitesi con i dettami di cui agli 1175 e 1375 c.c., quando, infatti, la fase ispettiva, o di contestazione dell’addebito, o quella istruttoria o sanzionatoria rappresentino strumenti utili al solo fine di integrare la condotta vessatoria in questione, in questi casi si potrebbe parlare di mobbing.

In ambito penale non è possibile qualificare i comportamenti vessatori di cui sopra, di modo che si realizzi il reato di mobbing, ma al lavoratore è apprestata la tutela garantita dal ricorso a precipue fattispecie di reato applicabili di volta in volta.

  • Non sono rari in Italia, ma soprattutto in paesi del nord Europa, casi di suicidio indotti da comportamenti aventi il carattere del mobbing. In questo caso si può parlare di istigazione o aiuto al suicidio, art. 580c.p.: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”.
  • L’art 660 c.p., disciplina il reato di molestie, il cui ambito di applicazione è spesso riferibile al contesto lavorativo: “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”.
  • Altro comportamento in grado di integrare una fattispecie di reato di cui spesso sono oggetto gli infermieri sono le violenze private, in questo caso la legge stabilisce all’art.610 c.p.: Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
  • È possibile che dichiarazioni o frasi nell’ambito del contesto lavorativo, soprattutto se rese davanti ad altri soggetti, possano ledano la vostra integrità psicofisica, in questo caso non è raro che si stia parlando di diffamazione, art. 595 c.p.: “Chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.32 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro”.

Federica Bonaventura  

Redazione Nurse Times

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