Terzo settore e professione infermieristica: quale futuro?

Riceviamo e pubblichiamo un contributo a cura del dottor Pierpaolo Volpe, dirigente sindacale di Uil Fpl Taranto e consigliere di Opi Taranto.

Gentile redazione,
ho letto con attenzione e profondo interesse l’articolo pubblicato dall’associazione di categoria Welfare al Levante sulle problematiche connesse al reperimento di professionisti infermieri nelle Rsa e nei centri diurni, essendomi occupato in prima persona della problematica con diversi articoli pubblicati sulla vostra testata giornalistica, ma anche in sede di formulazione dei regolamenti regionali. Da sindacalista che si occupa da tantissimi anni di sanità e terzo settore, nonché da rappresentante dell’Ordine delle professioni infermieristiche, non posso non portare un contributo sulla “questione infermieristica” nel terzo settore, alla luce delle questioni poste con puntualità dal presidente dell’associazione Welfare al Levante.

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La professione infermieristica, in questi anni, ha subito profondi cambiamenti grazie a importanti interventi normativi che l’hanno resa una professione autonoma (Legge 251/2000), svincolandola da ogni forma di subordinazione “funzionale” rispetto ad altre professioni sanitarie nell’esercizio delle funzioni e delle attività previste dalla legge (DM 739/94 e legge 42/1999). Il nuovo Ccnl della sanità pubblica ha iniziato a dare attuazione a questo percorso, individuando la figura dell’infermiere esperto e dell’infermiere specialista.

Non può certamente sfuggire come esista un abisso tra il Ccnl della sanità pubblica e il Ccnl Anaste, Uneba, coop. sociali, AIOP RSA, ARIS RSA, sia in termini di riconoscimento dei diritti, sia in termini di salario, sia in termini di possibilità di carriera. La motivazione della fuga di infermieri dalle Rsa e dai Centri diurni è racchiusa nei Ccnl applicati e nei regolamenti regionali: salari bassi, dotazioni organiche inadeguate e assenza di prospettive di carriera.

Bastano questi tre elementi a far diventare meno “appetibili”, in una logica di mercato, le strutture del terzo settore rispetto a quelle della sanità privata, dove si applica il Ccnl AIOP/ARIS. Tali elementi minano alla radice l’autorità professionale e la sanzione delle comunità, che rappresentano alcuni degli attributi indispensabili per una professione, secondo il sociologo E. Greenwood, per  distinguersi da altri tipi di occupazione. Per risolvere la “questione infermieristica” nel terzo settore è opportuno che organizzazioni datoriali, governo regionale, ordini professioni e organizzazioni sindacali, unitamente, concertino le soluzioni più idonee alla problematica.

In questi anni, quando si è parlato di regolamenti regionali, le interlocuzioni con le rappresentanze sindacali sono state spesso sfumate (vedi Rsa) o addirittura assenti (modifica regolamento CRAP per autori di reato), mentre costanti sono state le interlocuzioni tra Regione ed enti gestori, come si evince dalle delibere di giunta regionale che riportano la frase “sentiti gli enti gestori”. Totalmente assente è stata, invece, l’interlocuzione con gli ordini professionali, nonostante in alcuni casi sia stata proprio la Regione Puglia

a legiferare in merito.

Eclatante è stato il caso delle CRAP per autori di reat,o dove la stessa Giunta regionale, con propria delibera (rimasta solo sulla carta), aveva inteso avvalersi di “interlocuzioni con associazioni di famigliari e utenti psichiatrici, enti gestori, società scientifiche, ordini professionali, organizzazioni sindacali e ANCI per il perseguimento degli obiettivi a tutela delle persone affette da disabilità psichica, che hanno il diritto di ricevere una assistenza di qualità in un sistema multidisciplinare”. Ovviamente tutto questo non è mai avvenuto.

Guardando la problematica della fuga degli infermieri dalle Rsa con gli occhi del rappresentante istituzionale dell’Ordine delle professioni infermieristiche, mi sento di chiedere un maggiore coinvolgimento degli ordini professionali nella realizzazione dei regolamenti regionali. Guardando la problematica con gli occhi del rappresentante dei lavoratori, chiedo invece una modifica dei Ccnl applicati versus il Ccnl sanità privata, un maggiore coinvolgimento nella realizzazione dei regolamenti regionali e una maggiore interlocuzione con le associazioni datoriali.

Forse l’applicazione di super minimi individuali non riassorbili agli infermieri delle Rsa funzionerebbe da tampone per arginare la migrazione verso il settore pubblico. La fuga di infermieri è già iniziata anche dalle case di cura private, dove l’assenza di riconoscimenti, il Ccnl non rinnovato da oltre 14 anni e la richiesta di infermieri da parte delle AA.SS.LL e AA.OO. sta facendo venir meno l’appetibilità sul mercato. L’assenza di infermieri, oltre che un danno ai pazienti, farà venir meno i requisiti di accreditamento per queste strutture. Pertanto, in una logica di mercato, più ci si rende attrattivi, più si riuscirà a trattenere il personale.

Dott. Pierpaolo Volpe

Redazione Nurse Times

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