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Turni di 12 ore: si possono reggere per tre giorni di fila?

Riceviamo e pubblichiamo le amare considerazioni di una collega sull’esperienza da lei stessa vissuta.

Scusatemi se son vecchia e sono ancora al lavoro. Ho sempre cercato di dare il meglio di me stessa nell’essere infermiera, e mai avrei immaginato di ritrovarmi un giorno a sentirmi umiliata perché non più giovane e ancora in turno. Come si suol dire, oltre al danno, la beffa. Ho condiviso con i miei colleghi la richiesta dei turni di 12 ore poiché, con la turnistica che vivevamo, non riuscivamo ad avere una sequenza di riposi adeguata a consentirci il riposo mentale, più che fisico. L’esempio di come sarebbero stati impostati i turni di 12 ore era di nostro gradimento. Abbiamo iniziato ad attuarli – meglio, a “viverli” – qualche tempo fa. Per ragioni plausibili non erano esattamente come ipotizzato. Mi è stato chiesto, a qualche settimana dall’inizio della sperimentazione, come mi sentissi, considerata la mia età. Ho colto la palla al balzo per esprimere le mia perplessità in merito a una sequenza di tre giorni in turno dalle 7 alle 19:30 (che da programmato avrei dovuto affrontare). La responsabile ha confermato che non erano assolutamente ammissibili. Sono rimasta nell’indecisione di farle notare la mia situazione. Quando l’ho fatto, mi ha risposto che altri colleghi avevano il mio stesso tipo di triduo. Cosa obiettare? Che sono vecchia e i miei tempi di recupero sono più lunghi? Ho terminato il terzo giorno ieri sera. In coscienza, posso dire di avere dato il meglio di me stessa per assistere i pazienti sino all’ultimo minuto, affrontando urgenze e situazioni di criticità alquanto impegnative. Questa mattina sono tabula rasa. Vivo l’umiliazione della mia difficoltà nel mantenere un ritmo di lavoro che, apparentemente, i giovani gestiscono meglio. Vivo la presa in giro di affermazioni diametralmente opposte e di convenienza in merito alla valutazione dei tre turni di 12 ore in giorni consecutivi espresse dalla dirigente. Vivo e denuncio l’assoluta mancanza di attenzione per il malato che tale programmazione comporta. Se proprio un’azienda non riesce a mettere in conto, nonostante le dichiarazioni pubbliche rilasciate in interviste varie, il benessere delle “risorse umane” loro collaboratrici, provi almeno a essere coerente nel garantire non il benessere, ma la sicurezza della persona assistita. Concludo: la professione infermieristica ha compiuto un notevole balzo in avanti, ma gli infermieri professionisti sono spinti in un notevole balzo all’indietro. Con profonda, personale amarezza. Redazione Nurse Times
 
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