Uil Fpl: “L’istituto Rizzoli è una succursale del Maggiore?”

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a firma del segretario aziendale Umberto Bonanno.

L’Istituto Rizzoli, eccellenza italiana e mecca dell’ortopedia, famoso in tutto il mondo, si avvia sempre più a diventare, nei piani della Regione o di chi per essa, una mera succursale dell’Ospedale Maggiore, struttura inefficiente e cronicamente a corto di personale, in quanto il deflusso dei professionisti verso il privato appare inarrestabile e i posti messi a bando vanno deserti.

Le urgenze, che vengono inviate al Rizzoli in numero sempre maggiore, scegliendo quelle con DRG più inefficace (spesso spalle e arto superiore, anziché protesica, come era stato inizialmente concordato, per venire almeno incontro ad eventuali problemi di budget a fronte del disagio), sovraccaricano e sovraffollano una struttura che, ben lungi dall’essere nata per svolgere attività standard di traumatologia, era stata pensata per essere un punto di riferimento per l’ortopedia elettiva complessa.

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Le urgenze, che potrebbero benissimo essere distribuita sul territorio e che l’Ospedale Maggiore dovrebbe comunque essere messo in condizioni di svolgere nella sua interezza (così come è il suo obiettivo), vengono a inficiare gravemente la missione dell’Istituto Rizzoli. Già da tempo il sistema sanitario pubblico è in crisi e le eccellenze si spostano nel privato. La Regione sembra spingere sempre più nel senso di ridurre il Sistema sanitario nazionale alla capacità di fare fronte esclusivamente alle urgenze, sacrificando persino una realtà del calibro dell’Istituto Rizzoli, mettendo i pazienti in condizione di rivolgersi al privato per tutta l’ortopedia elettiva.

Invece di porsi il problema di come arrestare il disastro del Maggiore, con compensi adeguati per chi decide di dedicarsi alla difficile vita del traumatologo, la Regione sembra intenzionata ad assistere indifferente al fatto che non trovare una soluzione e scaricare le conseguenze sull’Istituto Rizzoli finirà con il trasformarsi in un’unica, gigantesca frana dell’ortopedia pubblica bolognese.

Non è un mistero che l’istituto Rizzoli non è più neanche lontanamente competitivo con le grandi realtà del privato, come l’Istituto San Donato, per citare la maggiore, in termini di chirurgia protesica. Questo perché i professionisti che lavorano nel privato, gratificati in termini economici, in termini di orario lavorativo, dalla possibilità di fare ambulatorio in più centri di loro scelta, sono infinitamente più liberi di raggiungere efficacemente l’utenza.

Non così i medici dell’Istituto. Oppressi da mille vincoli e proibizioni, in termini di convenzioni ambulatoriali, in termini di orari e ora anche dall’incessante flusso di urgenze che costringe ad aprire continuamente il sabato e la domenica sale operatorie, che sono tuttavia a personale ridotto e ancora più inefficaci e lente di quelle istituzionali, e trascinate solo dalla buona volontà dei professionisti.

Non solo il mondo della sanità cambia. Cambia anche il mondo dell’utenza. Il paziente non desidera più rivolgersi a una struttura e affidarsi al medico che il Ssn propone per quel giorno in un ambito di ortopedia generale. Sempre più ci si rivolge a ortopedici superspecialisti per la patologia da cui si è affetti. Così è negli Stati Uniti e nella maggior parte dei Paesi occidentali. E così appare essere ragionevole, data la vastità dell’ortopedia di oggi. Il paziente, oggi, si informa sul chirurgo che lo dovrà operare, ne consulta online il curriculum, il sito e, cosi come è suo diritto, sceglie un professionista per il suo intervento. Pertanto anche l’Istituto deve cambiare, sostenendo e promuovendo le sue professionalità ed eccellenze.

L’istituto ha infatti precorso i tempi in molti casi. Famosissimi il reparto oncologico e quello pediatrico, che sono tuttora realtà cardine del Ssn e non accennano a essere eclissati dal privato, come accade per altre patologie. Perché? Perché sono reparti superspecialistici di eccellenza in cui professionisti che si dedicano alla cura di quella singola patologia possono confrontarsi e lavorare insieme.

In alcuni casi l’Istituto è stato capace di adeguarsi, come nella creazione del reparto spalla-gomito, o rachide. Ma in altri, pur a conoscenza del problema, della vastità della domanda e delle potenzialità, le dirigenze sembrano non volersi adeguare.

Ben diversa e triste, infatti, è la questione della chirurgia del piede. Per lunghissimo tempo fiore all’occhiello dell’Istituto e patologia per la quale l’Istituto Rizzoli è hub, la chirurgia del piede è diventata da alcuni anni a questa parte una chirurgia giudicata poco importante e del tutto negletta nei piani delle dirigenze. Solo per questa patologia non è stato configurato un reparto o almeno un percorso dedicato, con un ambulatorio e sale operatorie dedicate e un’equipe unica e coesa che sia bene identificabile come “Chirurgia di piede e caviglia” dai pazienti che ricercano sul sito dell’Istituto.

Il piede è una realtà che ha un’enorme domanda: oltre mille interventi chirurgici relativi a questa patologia sono stati eseguiti nel 2018, quasi interamente negli spazi convenzionati di Villa Chiara, e pazienti da tutta Italia sono venuti per farsi operare al Rizzoli da validi professionisti, sparsi in vari reparti di ortopedia generale. Ma i numeri potrebbero essere molto maggiori e l’efficienza ancora superiore, se venisse attivato un percorso organico e strutturato.

I professionisti che trattano una patologia superspecialistica, al fine di ottimizzare e rendere efficace la chirurgia, ma anche l’insegnamento e la ricerca, devono avere la possibilità di aiutarsi e confrontarsi nell’ambito di una realtà dedicata. Le sale operatorie, inoltre, dovrebbero essere calibrate in modo da fare fronte alle diverse esigenze delle diverse chirurgie, con ottimizzazione dei costi.

Le sale per la chirurgia del piede non necessitano della quantità di personale che può essere necessaria per la schiena, ad esempio, e di questo andrebbe tenuto conto, prima di trovarsi, persino nel Ssn, a bollare la chirurgia del piede come poco redditizia e quindi come cenerentola delle chirurgie, senza tenere conto del fatto che gli utenti ne hanno necessità.

La chirurgia del piede può essere redditizia, se gestita con oculatezza, e comunque, almeno il pubblico dovrebbe ancora curarsi di fare fronte alle esigenze dei cittadini. Pertanto starebbe all’interesse dell’Istituto promuovere percorsi diversi per patologie diverse, con medici dedicati per singola patologia e percorso ai fini di ottimizzare i costi e la qualità del lavoro.

Redazione Nurse Times

 

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