Vado a curarmi al Nord e pago più tasse: il paradosso della migrazione sanitaria

Molti meridionali hanno perso fiducia nel sistema locale e preferiscono “migrare”. Anche per questo il debito del Sud aumenta.

Da un’indagine del periodico L’Espresso risulta che l’Italia vive un paradosso legato alla sanità: il Sud paga più tasse perché i pazienti devono andare al Nord per curarsi.

In realtà i numeri che descrivono la spesa pro capite per la sanità pubblica sono simili nelle diverse aree del Paese: al Nord si sborsano in media 1.961 euro, contro i 1.928 del Centro e i 1.799 del Sud. C’è però un divario netto in termini di assistenza sanitaria. In Calabria, per esempio, ogni cittadino paga 1.875 euro l’anno, ma 126 euro servono per il conto presentato da altre Regioni, spesso settentrionali, dove i calabresi vanno a curarsi.

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Nel 2016, infatti, il 40,7% dei malati oncologici della Calabria ha scelto di curarsi fuori regione. In Lombardia, d’altro canto, sono arrivati quasi 17mila “forestieri” malati di cancro. Ciò significa che i lombardi spendono “solo” 1.877 euro per una sanità d’eccellenza, risparmiandone 54, che sono pagati dai migranti bisognosi di cure.

Stando al rapporto Cergas-Bocconi sullo stato di salute del Sistema sanitario nazionale, la sola Calabria produce l’8% della migrazione sanitaria e un paziente su sei si ricovera in altre regioni. Ne deriva un debito di ben 304 milioni per le tasche dei calabresi, perché il conto delle cure prestate negli ospedali settentrionali ricade sulla Regione Calabria. E siccome in Italia vige un sistema federale per la sanità, ogni Regione deve coprire le spese per curare i propri cittadini attraverso le tasse versate da lavoratori e aziende (Irpef e Irap).

Ovvio che le regioni con meno occupazione e poco industrializzate siano in difficoltà, tanto da rendere necessario il commissariamento di cinque sistemi sanitari locali. Si pensi alla stessa Calabria, dove il piano di risanamento è in atto dal 2010 (e non si intravede la luce in fondo al tunnel), ma anche ad Abruzzo, Campania, Lazio e Molise, che dovrebbero presto uscirne dopo circa un decennio. Nel frattempo, per rimettere in sesto i conti di queste Regioni (ma anche di altre: vedi Puglia e Sicilia), sono stati chiusi alcuni ospedali, ridotti i posti letto, bloccate le assunzioni di nuovi medici e infermieri (il personale è diminuito del 15%).

Restando in Calabria e riassumendo: prima del 2010, anno d’inizio del commissariamento, la sanità costava tanto perché c’era una miriade di ospedali piccoli e poco efficienti; dopo il 2010, la situazione è persino peggiorata perché si è aggiunta la penuria di strutture e di personale. Si spiega così la scelta di molti calabresi che, non nutrendo più fiducia nell’assistenza locale, fanno le valige e vanno a curarsi altrove. E intanto il debito cresce…

Redazione Nurse Times

Fonte: L’Espresso

 

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