Infermieri

Il rapporto tra part-time, pubblico impiego e pensione

Rilanciamo un approfondimento sul tema a cura del portale “La legge per tutti”.

Il part time rappresenta per molti lavoratori un sogno e per altri una necessità. Ci sono, infatti, moltissimi lavoratori, soprattutto donne, che vorrebbero lavorare un numero ridotto di ore per potersi dedicare ad altre attività o semplicemente per conciliare meglio le esigenze professionali con le necessità familiari. Per alcuni lavoratori, come ad esempio gli addetti ad attività cicliche e stagionali, il part time è una necessità perché in alcuni periodi non c’è lavoro. Va anche detto che, nel pubblico impiego, il part time segue regole specifiche, anche se, nel corso del tempo, la normativa ha progressivamente avvicinato l’impiego pubblico a quello privato. Ma che rapporto c’è tra part time verticale, pubblico impiego e pensione? Lavorare meno ore, infatti, riduce anche la retribuzione percepita dal dipendente e, dunque, l’ammontare dei contributi previdenziali versati all’Inps. Tutto questo non può che incidere sul futuro assegno pensionistico che andrà a percepire il dipendente dopo il pensionamento. Come vedremo, però, il part time non allontana l’età pensionabile. Cos’è il part time? Quando si parla sinteticamente di part time si fa riferimento al contratto di lavoro a tempo parziale. Per introdurre la definizione di part time occorre premettere che la legge fissa un orario di lavoro massimo oltre il quale il dipendente non può lavorare. La durata ordinaria dell’orario di lavoro è, infatti, fissata in 40 ore settimanali o nella minore quantità di ore prevista dal contratto collettivo di lavoro di settore. In alcuni ambiti, infatti, i Ccnl stabiliscono che l’orario di lavoro normale sia di 38 o di 36 ore settimanali. Stabilita la durata normale dell’orario di lavoro, ogni volta in cui un contratto di lavoro prevede che il dipendente debba lavorare per un numero di ore ridotto rispetto al normale orario di lavoro parleremo di part time. Si parla di part time al 50%, al 75%, al 90% etc. Con queste percentuali si indica la proporzione tra orario di lavoro contrattuale ed orario di lavoro normale. Un contratto può anche nascere atempo pieno ed essere, successivamente, trasformato in part time. In questo caso, affinchè la trasformazione sia perfettamente valida, occorre il consenso sia del lavoratore che del datore di lavoro. Part time: tipologie Come abbiamo detto, siamo di fronte ad un part time ogni volta in cui il contratto individuale di lavoro prevede che il lavoratore debba lavorare per un numero di ore inferiore al normale orario di lavoro. Esistono, tuttavia, diverse tipologie di part time a seconda di come viene dislocata la prestazione di lavoro. In particolare, la riduzione dell’orario normale di lavoro può essere prevista sull’orario giornaliero, annuale o entrambi. Le tipologie di part time sono le seguenti:
  • part time orizzontale: il numero di ore viene ridotto su base giornaliera (ad esempio 4 ore di lavoro al giorno invece di 8);
  • part time verticale: ad essere ridotte non solo le ore di lavoro giornaliere, ma le giornate nel corso della settimana o del mese. La giornata lavorativa rimane piena (8 ore);
  • part time misto: nel rapporto di lavoro part time si prevede una combinazione di part time orizzontale e verticale.
Part time nel pubblico impiego Nel corso del tempo, la disciplina del part time nel pubblico impiego si è andata ad armonizzare con quella prevista per i dipendenti privati. Non mancano, però, alcune differenze. Innanzitutto, vi sono alcune categorie di dipendenti pubblici per i quali non è possibile costituire rapporti di lavoro part-time. Tra questi troviamo:
  • personale tecnico operativo del Vigili del Fuoco;
  • personale della polizia municipale;
  • personale di ruolo soggetto ad avvicendamento e a contratto del ministero degli Esteri e di altre amministrazioni ed enti pubblici che presti servizio all’estero;
  • dirigenti preposti alla titolarità degli uffici.
Al pari del part time nell’impiego privato, anche nel part time pubblico esiste la possibilità di svolgerelavoro supplementare. La legge stabilisce che il lavoro supplementare è quello che viene svolto oltre il proprio orario di lavoro previsto nel contratto e sino al raggiungimento del normaleorario settimanale di lavoro a tempo pieno. Tanto per intendersi, se il dipendente è assunto con un part time a20 ore settimanali e l’orario normale di lavoro è 36 ore settimanale, il lavoro svolto dal lavoratore oltre il suoorario contrattuale (20 ore) sarà lavoro supplementare sino al raggiungimento delle 36 ore a settimana. Oltre tale soglia, invece, il lavoro svolto si qualifica come lavoro straordinario. Un’altra differenza con il part time privato è nelle clausole elastiche. Con la clausola elastica il datore di lavoro può modificare in modo unilaterale la collocazione temporale della prestazione lavorativa, rispetto a quanto previsto nel contratto individuale di lavoro o può aumentare, rispetto a quanto previsto nel contratto di lavoro, la durata della prestazione lavorativa. I contratti collettivi del comparto del pubblico impiego non prevedono nessuna normativa che disciplina l’applicazione delle clausole elastiche e la mancanza di qualsiasi riferimento nei Ccnl ne ha, allo stato, precluso l’applicazione. Part time pubblico impiego e pensione
È sicuramente positivo, sotto molti aspetti, avere un orario di lavoro ridotto. Tuttavia, una volta raggiunta l’età pensionabile, avere lavorato meno ore degli altri può tradursi in un elemento negativo per quanto concerne la pensione. In che modo lavorare part time incide sulla pensione futura? Per rispondere a questa domanda occorre fare una premessa. A partire dal 1995, e in modo ancora più spiccato con la riforma Fornero del sistema pensionistico, in Italia siamo passati dal sistema di calcolo retributivo al sistema di calcolo contributivo della pensione. In linea generale e in modo molto riassuntivo, si può affermare che con il sistema di calcolo retributivo la misura dell’assegno pensionistico viene calcolata tenendo conto, soprattutto, del reddito da lavoro percepito dal dipendente nell’ultimo periodo di tempo precedente alla cessazione del rapporto di lavoro per pensionamento. Al contrario, con il sistema di calcolo contributivo, la pensione viene calcolata tenendo conto di tutta la storia lavorativa dell’individuo e di quanti contributi ha versato all’Inps in tutto il suo percorso lavorativo. Da questa premessa, si può facilmente intuire che la misura della pensione del lavoratore part time sarà, sicuramente, più bassa di quella che percepirà un lavoratore a tempo pieno. I contributi previdenziali, infatti, vengono pagati applicando alla retribuzione del dipendente una determinata percentuale (aliquota contribtuiva). Più è alto il reddito, più contributi vengono versati. Il dipendente part time, lavorando per un numero di ore ridotto, percepisce un reddito proporzionale alle ore lavoratee, dunque, più basso di un lavoratore full time. Per questo, accantonerà meno contributi e la sua pensione sarà, necessariamente, più povera. Ovviamente, la riduzione sarà maggiore o minore a seconda di quante ore vengono lavorate dal dipendente assunto con contratto part time. Part time verticale pubblico impiego e pensione Se è, dunque, scontato che il dipendente part time prenda una pensione più bassa, determinata dal fatto che ha versato meno contributi, molto meno scontato è chiarire se lo svolgimento del rapporto con un orario ridotto possa incidere anche sulla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione. In breve, il lavoratore part time va in pensione più tardi? Sotto questo profilo, la Corte di Cassazione ha anche di recente ribadito un orientamento già espresso in altre proprie decisioni nonché affermato dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2010. Il procedimento su cui è stata chiamata a pronunciarsi partiva dal ricorso di alcuni lavoratori che lavoravano con part time verticale ciclico e che si erano visti ridurre l’anzianità contributiva utile per l’accesso al pensionamento. Come espresso allora dalla Corte europea, allo stesso modo la Cassazione ha ribadito che il part-time verticale ciclico non riduce l’anzianità contributiva utile per il diritto alla pensione. Generalmente, un lavoratore si vede accreditate dall’Inps 52 settimane contributive all’anno. Alcuni dipendenti del trasporto aereo, che lavoravano solo per alcuni giorni la settimana, invece, si erano visti accreditare dall’Inps solo i periodi contributivi relativi alle giornate di effettivo lavoro ed avevano dunque agito contro l’Inps per farsi riconoscere 52 settimane di contributi. La Cassazione ha ribadito l’efficacia a fini del diritto alla pensione dei periodi non lavorati in caso di part time verticale incidendo la contribuzione ridotta esclusivamente sulla misura della pensione e non anche sulla durata del rapporto di lavoro. Orientamento confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria a tutela del principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale. La Cassazione ricorda che la Corte europea aveva già affermato che è illegittima una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive. I lavoratori part time verticale, dunque, non vanno in pensione dopo degli altri, ma avranno un assegno più leggero. Redazione Nurse Times Fonte: La legge per tutti  
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