Infermiere di famiglia & comunità

Quando una cattiva organizzazione fa la differenza: anziana muore per L.D.P. trattata in A.D.I.

Leggendo un articolo pubblicato sulla rivista “infrmieristicamente.it” dal titolo “Muore per una piaga da decubito: denunciati Asl e sanitari”, che descrive le sfortunate vicende che interessano un’anziana donna della provincia di Viterbo, che purtroppo muore in circostanze che andranno chiarite dai magistrati

Al di la dei fatti narrati esaustivamente nell’articolo, quello che colpisce di più è la situazione di approssimazione, di assoluta e totale disorganizzazione che ha generato questo evento avverso la situazione di totale abbandono di questa anziana signora, e la mancanza di presa in carico da parte delle istituzioni sanitarie che avrebbero dovuto assisterla ed infine di come il suo medico curante si sia disfatto di questa paziente, disinteressandosi.

Cerchiamo di riassumere la vicenda

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Tutto parte nel novembre del 2011 quando un’anziana signora di 84 anni, invalida al cento per cento, fu trattata con il servizio di assistenza domiciliare (ADI) per una piaga da decubito al tallone destro. La donna era stata presa in cura da un’equipe di sanitari della Asl di Viterbo guidata dal medico di base. Tuttavia il 7 agosto del 2012 dopo un ricovero d’urgenza all’ospedale di Bracciano, arrivando in stato comatoso, morì dopo due giorni per “un decubito infetto al 4° stadio al tallone destro”, così come è scritto nell’avviso di morte redatto dai medici del nosocomio.

Ne seguì naturalmente una denuncia all’autorità giudiziaria e si venne a scoprire  che la cartella clinica domiciliare non fu redatta, per cui non vi è traccia delle cure eseguite, e non fu acquisito dagli operatori sanitari curanti il consenso informato della paziente.

Questa in breve sintesi la vicenda narrata ora non è dato sapere se questa vicenda presso la A.S.L. competente è stata oggetto di un audit clinico o di un esame approfondito di risk management e/o se sono stati apportati dei necessari correttivi alla organizzazione ed al modo di erogare questo tipo di assistenza, ma certamente alcune riflessioni vengono spontanee e credo sia utile riproporle all’attenzione di tutti per migliorarci e per migliorare se possibile i sistemi.

Quello che salta subito all’attenzione è la totale mancanza di un diario clinico e l’omissione di una qualsivoglia forma di consenso informato

Mi rifiuto di credere che scientemente i vari professionisti che si sono alternati nell’assistenza di questa paziente abbiano omesso di compilare e di redigere questa fondamentale documentazione, ma credo che molto più semplicemente l’organizzazione stessa non si sia mai preoccupata di verificare che i vari professionisti fossero messi nella condizione di adempiere a questo fondamentale ed essenziale atto che ricordiamo dovrebbe essere alla base di ogni intervento di cura.

Certamente si può ravvisare anche una certa superficialità da parte dei vari professionisti che non hanno preteso che l’organizzazione li mettesse in condizione di adempiere a tutto ciò e quindi possiamo dire che su questo argomento le responsabilità sono variegate ed a cascata investono tutti gli interessati: dalla direzione aziendale, all’organizzazione, fino all’ultimo degli operatori che si sono occupati della paziente in questione.

QUESTO NON DOVREBBE MAI ACCADERE PERCHE’ NON SI PUO’ OMETTERE DI STILARE UNA CARTELLA CLINICA NE’ TANTOMENO DI RICERCARE IL CONSENSO INFORMATO.

Detto questo in via generale vorrei soffermarmi sulla gestione di questa paziente e della L.D.P.

Giusto assegnare un infermiere per la medicazione della LDP, ma secondo le accuse dei familiari, le visite mediche e le medicazioni da parte dell’infermiere assegnato non risultavano essere sufficientemente regolari, giustificate dalla mancata disponibilità di un mezzo di trasporto che portasse il collega al domicilio dell’anziana.

Un buco organizzativo pauroso; come può infatti un servizio di A.D.I. che opera su un territorio vasto e caratterizzato da piccoli centri distanti tra loro non mettere in condizioni gli operatori di recarsi a domicilio degli assistiti??

Le soluzioni organizzative che potevano essere messe in atto potevano essere diverse e variegate pertanto a questo se vero non ci possono essere giustificazioni, comunque dopo il primo intervento con i N.A.S. del figlio le cose sono migliorate come per incanto…

In quella occasione il dato da non trascurare è l’odore nauseabondo che il figlio descrive aver trovato all’interno della stanza della mamma situazione che dallo stesso non è stata trascurata, anzi lo ha giustamente allarmato tanto da chiedere lumi al medico curante e all’infermiere che seguiva la paziente entrambi hanno minimizzato la cosa e tentato di rassicurare il figlio.

Ma questo era e si è rivelato un grave errore di valutazione, quell’odore era un sintomo che non andava trascurato: ERA IL SINTOMO DI UNA GRAVE INFEZIONE DELLA LESIONE CUTANEA

Sicuramente non è stato corretto il consiglio di ricoverare la mamma presso una R.S.A. sarebbe invece stato necessario indagare le origini di quell’infezione adeguatamente e trattarla come si deve ricorrendo ove necessario anche ad un ricovero ma non certamente in una R.S.A..

Cosa avvenuta poi qualche tempo dopo con la comparsa di una febbre elevata e di uno stato soporoso, ma a quel punto era ormai troppo tardi e l’esito è stato fatalmente infausto.

Da non sottovalutare infine il fatto che il medico curante ha ricusato la paziente senza il minimo avviso da parte di nessuno di questo fatto. Cosa questa che ha causato un abbandono dell’assistenza medica ad un paziente grave non essendo lo stesso messo in grado di provvedere a scegliere un altro M.M.G.  che la potesse seguire.

QUESTO E’ UN FATTO MOLTO GRAVE PERCHE’ QUESTA PAZIENTE E’ RIMASTA DI FATTO SENZA LA FIGURA MEDICA CHE AVREBBE DOVUTO COORDINARE LA SUA ASSISTENZA ED IN QUESTO MODO LE E’ STATO NEGATO ANCHE IL DIRITTO DI POTER AVERE UNA SOSTITUZIONE QUANTOMAI NECESSARIA E QUINDI CURE ED ATTENZIONI ADEGUATE.

Un fatto decisamente grave, utile per analizzare e trarne spunti di riflessione, che mette in evidenza delle responsabilità personali dei vari attori che si sono succeduti, e denota una grave carenza organizzativa che ha poi di fatto portato anche ad errori di valutazione e quindi ad una pessima gestione di questo caso.

L’assistenza domiciliare presuppone come modello organizzativo una presa in carico del paziente e della sua famiglia, è un ambito molto delicato che vede come fulcro il medico curante che non può venire a mancare, ma nello stesso tempo neanche la presa in carico da parte del servizio A.D.I. può essere farraginosa e latitante ecco un primo spunto mi pare proprio questo una mancanza di presa in carico reale del caso.

Da qui poi a caduta derivano leggerezze e omissioni che ne sono la diretta conseguenza qualche esempio per essere chiari:

  • La mancanza di una documentazione sanitaria e della ricerca di un consenso informato,
  • la non regolarità delle medicazioni per problemi diciamo così logistici,
  • la sottovalutazione dei sintomi e dei segnali di allerta che la lesione e la paziente hanno evidenziato (possibile che nessuno si sia chiesto il motivo di quell’odore nauseabondo, che non sia stato fatto un esame culturale ed instaurata terapia antibiotica mirata, che quella lesione non sia stata attenzionata ad un chirurgo ed anche se ciò fosse stato fatto ma ne dubito  non ci sono risultanze in quanto è stata omessa la compilazione di una cartella clinica),
  • il fatto che la paziente sia rimasta per alcuni mesi senza M.M.G. senza che nessuno si sia preoccupato di porre un correttivo a questa situazione o quantomeno informare la stessa o i parenti di questa situazione lasciando di fatto l’assitenza di questa paziente monca della sua testa.

Sarebbe interessante capire se il servizio A.D.I. della A.S.L. di Viterbo si avvale di una azienda esterna per l’erogazione dell’assistenza infermieristica oppure di personale strutturato, ed in ogni caso se l’infermiere che ha seguito la paziente è stato sempre lo stesso oppure c’è stata una deleteria alternanza di professionisti.

Sarebbe interessante conoscere se questo servizio ha un suo nucleo dirigenziale, se sono utilizzati i P.AI. e se ci sono state verifiche in itinere sul suo andamento.

Il mio come detto non è una ricerca a tutti i costi di colpevoli, ma più semplicemente un abbozzo, perchè la cosa richiede altri canoni e cioè quelli di una indagine diretta sul campo e con gli attori coinvolti,  di quella che potrebbe essere uno schema di R.C.A di un evento avverso vuole quindi avere un duplice scopo didattico:

Primo dare un idea di come deve essere strutturata una R.C.A. che ha alla base è bene ricordarlo non la ricerca di uno o più colpevoli, ma la ricerca accurata degli errori organizzativi che sommandosi portano prima ad un “evento sentinella” (per capirci in questo caso l’odore nauseabondo della lesione) e poi se trascurato all’evento avverso (il decesso della paziente) quindi una corretta gestione del risk management ed una corretta organizzazione non avrebbe dovuto permettere di trascurare come invece è stato fatto l’evento sentinella.

Secondo per tentare di spiegare partendo da come non dovrebbe funzionare un servizio di A.D.I. e da quali irreparabili danni può arrecare una sua incerta organizzazione mettendo in evidenza quale sia l’importanza in questo tipo di assistenza della presa in carico non solamente del paziente, ma dell’intero nucleo familiare.

Purtroppo da un punto di vista culturale siamo ancora molto indietro su questo fronte e per molte aziende questo tipo di assistenza è solamente una scocciatura cui bene o male si deve far fronte, in molti casi si perde di vista quindi l’importanza strategica dell’assistenza nel territorio nelle case dei pazienti e con troppa superficialità, come dimostrato dalla disamina dei fatti riportati, si affrontano queste problematiche dimenticando troppo spesso che in prima battuta da una corretta gestione di questo aspetto e non mi riferisco solamente all A.D.I. ma più in generale delle dinamiche del territorio, dipende poi un buon funzionamento e la soddisfazione degli utenti una maggiore qualità e consistenti risparmi per il S.S.N.

Angelo De Angelis

 

Angelo De Angelis

Diploma di INFERMIERE PROFESSIONALE presso Centro idattico Polivalente Pio Istituto ed Osperali Riuniti ROMA nel 1980 Dal luglio 1980 INFERMIERE presso ospedale S.Giovanni Roma strumentista in C.O. chirurgia generale, infermiere in pronto soccorso chirurgico,medico e successivamente cardiologio Dal 1990 infermiere in ambulanza B.L.S A.L.S CENTRALE OPERATIVA DAL 2008 INFERMIERE presso CENTRO DI ASSISTENZA DOMICILARE ASL RM1 accoglienza e supporto agli utenti e famigliari coordinamento e consulenza agli infermieri nel territorio Nel 2013 LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE INFERMIERISTICHE ED OSTERICHE presso università SAPIENZA DI ROMA

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